Riassunto analitico
Le dinamiche del mercato del lavoro attuale e le riforme del lavoro modificano l’insieme degli strumenti di progettazione e gestione delle relazioni di lavoro, determinando notevoli impatti sia sulla struttura organizzativa delle imprese che sulla produttività dei lavoratori. In questo quadro un importante ruolo è svolto dalle relazioni industriali e dalla contrattazione collettiva, specie quella decentrata, chiamata a coniugare i bisogni di competizione dei datori di lavoro e le condizioni operative dei lavoratori. Sono diversi i casi in cui ciò che viene dedotto mediante accordi o contratti collettivi determina un impatto sul modello organizzativo adottato all’interno di imprese e sulla produttività dei lavoratori: un esempio in questo senso è quello del welfare aziendale, quale strumento che si è rivelato essere una chiave fondamentale nella gestione delle risorse umane. Negli ultimi anni l’introduzione di politiche di welfare all’interno dei contesti produttivi ha subìto un significativo aumento, affermandosi sia a livello teorico che nella pratica d’impresa come uno strumento utile alle aziende per aumentare la propria produttività, migliorando il clima organizzativo e contribuendo al benessere dei lavoratori. Lo studio di tali politiche ha a fondamento il riconoscimento, da parte delle imprese, dell’importanza del benessere dei propri lavoratori che può essere migliorato seguendo la strada del confronto e della partecipazione. Infatti, oggi non sono rari i casi in cui all’interno delle aziende maggiormente strutturate vengono istituiti organismi paritetici che si occupano della gestione delle misure di welfare utili a ottimizzare il work-life balance dei lavoratori. In questo senso, la contrattazione collettiva costituisce quindi una leva strategica per raggiungere obiettivi di benessere organizzativo utili a migliorare il benessere dei lavoratori. La trattazione di questa tematica è così ampia che pare opportuno focalizzarsi sulle misure maggiormente utilizzate dalle imprese, riprendendo alcuni istituti previsti da accordi di secondo livello di aziende operanti in settori anche molto diversi tra loro, che vanno dalla predisposizione di modalità flessibili di lavoro (es. smartworking; congedi di maternità/paternità) alla fornitura di beni e servizi per i dipendenti (es. fringe benefits) e verificarne l’impatto organizzativo. A ciò si aggiunge necessariamente una riflessione sul ruolo della contrattazione collettiva decentrata, quale livello di autonomia collettiva più vicino alla realtà aziendale. Non è un caso, infatti, la penuria di contratti collettivi nazionali di lavoro che trattano di welfare, come fatto ad esempio nel CCNL Metalmeccanica (Federmeccanica) in cui la predisposizione di misure in tal senso è obbligo per le imprese che operano nel settore. La sviluppo della tematica parte quindi dagli aspetti definitori del concetto di welfare, che affonda le sue radici nel welfare state (con la sua conseguente crisi) fino ad arrivare all’applicazione di tale concetto a livello aziendale, con il cosiddetto welfare aziendale. Rilevata l’importanza strategica del benessere organizzativo e dell’impegno delle parti sociali a congegnare, attraverso la negoziazione, politiche di welfare, l’attenzione va poi focalizzata sul ruolo della contrattazione decentrata e quindi del welfare territoriale e occupazionale. Da ultimo, l’analisi sul ruolo della contrattazione collettiva in questo senso si basa anche sull’approccio utilizzato dalle parti sociali: sottolineando l’importanza di un approccio partecipativo delle relazioni industriali che supera l’idea di conflitto, da sempre alla base del rapporto tra rappresentanze datoriali e sindacali.
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