Riassunto analitico
Il concetto di “diritto al lavoro” fa la sua comparsa nell’Italia liberale con la prima legislazione sociale: verso la fine dell’800 comincia un percorso che porterà alla nascita dell’Assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro nel 1898 la Cassa di previdenza per la vecchiaia e l’invalidità e al Testo unico sul lavoro delle donne e dei fanciulli del 1907, che per la prima volta si occupa di limiti di età, di lavori insalubri e introduce il congedo di maternità. Durante i primi anni ‘20 il diritto del lavoro compare come concetto ma nega le disparità delle condizioni, sopprime le libertà sindacali e prevede un contratto unico per i lavoratori. Dai diritti individuati come libertà individuali si passa alle libertà positive, che comportano un riconoscimento dei diritti sociali e un intervento attivo dello Stato. Con la Costituzione si apriva una stagione nuova per il Paese e per il riconoscimento dei diritti sociali. Sin dall’art.1 la formulazione è ben chiara : la Repubblica italiana è “fondata sul lavoro”; l’art.4 riconosce a tutti il diritto al lavoro, riconosce alla Repubblica la capacità e il ruolo di promuovere le condizioni per rendere accessibile il diritto oltre al dovere di ogni cittadino di svolgere un’attività. Diritto al lavoro non significa garantire a tutti un’occupazione, ma rimuovere ostacoli e barriere che impediscono al lavoratore di trovare un’attività che gli permetta di garantire il sostentamento della sua famiglia. Sotto questa visione qualche anno dopo nasce una norma molto importante per la tutela dei lavoratori contro i licenziamenti individuali, la L. 604/66, seguita da una norma molto importante per il diritto del lavoro ancora oggi, la L.300/70; la tutela è riconosciuta in tutte le definizioni, passando dal diritto all’associazionismo sindacale ai lavori adeguati per minori e donne alla protezione della maternità e della paternità. La Corte Costituzionale ha dovuto confrontarsi con diverse riforme; le ultime riforme sono state la L.92/2012 e il Jobs act, composto di più decreti, tra cui il corposo D.Lgs.23/2015. Entrambe le normative andavano a modificare, in nome di una maggiore flessibilità in entrata e in uscita, quanto previsto in caso di licenziamenti illegittimi, modificando le regole della tutela reale ed obbligatoria, aggiornando gli strumenti previsti per i lavoratori non occupati e gli ammortizzatori sociali. La Corte, negli anni, ha emesso delle sentenze molto importanti che hanno reinterpretato alcuni articoli dichiarati incostituzionali, provvedeva a modificare alcune definizioni, riequilibrando il rispetto della tutela del lavoratore per confermare la legittimità costituzionale. Nella fase attuale lo Stato sociale deve confrontarsi con le Corti nazionali ed europee, con un mercato che privilegia la flexibility in entrata ed in uscita, con un’economia in difficoltà che vede prevalere lo scambio di merci e persone con Paesi che non tutelano i propri lavoratori; diventa sempre più difficile mantenere un equilibrio tra le norme che realizzino diritti o prestazioni sociali con la sostenibilità finanziaria di tali misure confrontandosi anche con nuovi rapporti di lavoro flessibili, digitalizzati e poco inquadrati. Qual è il futuro del diritto al lavoro come inteso dalla Costituzione? Come si rinnovano gli articoli del titolo III in un momento storico così diverso da quello in cui venivano ideati e scritti? Andrà cercata da parte del legislatore, delle pubbliche istituzioni e delle organizzazioni sindacali una via che possa coniugare le nuove esigenze di mercato con la necessità di rispettare i principi fondamentali del diritto al lavoro, evitando di portare il diritto AL lavoro unicamente verso il diritto DEL lavoro, spogliandolo del concetto originario dall’art.4.
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