Riassunto analitico
Il termine inglese commodity, ormai entrato nel linguaggio comune italiano, deriva dal francese "commoditè", cioè ottenibile comodamente, pratico. In particolare, le commodities costituiscono di solito le cosiddette materie prime, cioè gli imput della produzione, dalla cui lavorazione derivano beni e servizi. L'oggetto della tesi è l'analisi del mercato delle commodities facendo particolare riferimento alle determinanti della volatilità e all'esistenza del variance risk premium (premio al rischio di varianza). Il primo capitolo è incentrato sulla definizione e descrizione dell'asset class delle commodities. Esse si distinguono in immagazzinabili e non immagazzinabili. Appartengono alla prima categoria quasi tutte le commodities, ad eccezione dell'elettricità che, ovviamente, non può essere immagazzinata ma trasportata attraverso speciali condotti. Tale distinzione acquista la sua valenza quando si parla di convenience yeald, ossia il beneficio di possedere una commodity fisicamente. Si ha, per esempio, una gran convenienza a detenere una commodity in caso di normal backwardation quando i costi d'immagazzinamento e i tassi d'interesse sono bassi. Le commodities possono essere considerate un asset class a parte per molteplici ragioni. In primis, per l'importanza della teoria delle scorte (Inventory Theory)che analizza l'impatto che il livello delle riserve ha sul prezzo delle commodities e sulla volatilità. Inoltre a determinare il livello dei prezzi intervengono fattori specifici del mercato delle commodities: fattori climatici, progressi tecnologici, rivoluzioni etc. In secondo luogo, a differenza di azioni e obbligazioni, le materie prime hanno una natura anticiclica e lo scambio può essere fisico o finanziario. Il secondo capitolo si focalizza sull'analisi della volatilità: storica ed implicita. La prima è la volatilità realizzata nel passato, basata sull'osservazione dei movimenti dei prezzi nel passato. La volatilità implicita è la volatilità attesa dagli investitori su un dato orizzonte temporale. Per la stima della volatilità implicita il metodo più comune per molto tempo è stato quello di Black e Scholes (1973). Tuttavia tale metodologia porta a errori di sovrastima o sottostima in quanto ipotizza una volatilità costante non verificata nella realtà del mercato. Invece, in tempi recenti è stata introdotta la metodologia model-free, sviluppata da Britten-Jones (2000), che si basa sui prezzi osservati delle opzioni. Recentemente sulla base di questa formula sono stati introdotti al CBOE (Chicago Board Options Exchange)indici di volatilità per il mercato dell'oro, del petrolio, del mais. Il terzo capitolo fa una rassegna letteraria dei diversi lavori empirici che si occupano della volatilità delle commodities. Vengono confrontati i dati e le fonti usati dai vari autori, le tecniche d'analisi e i risultati ai quali sono pervenuti. Ogni autore ha contribuito all'analisi di un aspetto diverso del mondo delle commodities. In questa breve rassegna letteraria, si è cercato di illustrarne le sfaccettature più interessanti dal premio al rischio di varianza alle caratteristiche della volatilità di lunga memoria. Il quarto capitolo analizza empiricamente il variance risk premium nel settore energetico, dei metalli preziosi e in quello agricolo, calcolati come differenza tra volatilità realizzata ed implicita. In particolare, ci si focalizza sulla natura dei variance risk premia, ossia se esistono premi al rischio effettivamente prezzati dal mercato e se presentano caratteristiche di stagionalità. Inoltre, attraverso regressioni lineari OLS (Ordinary Least Squares) si cerca d'interpretare le determinanti dei variance risk premia e si analizza il contenuto informativo degli stessi nei confronti dei rendimenti delle attività sottostanti.
|