Riassunto analitico
La retribuzione è la principale fonte di sostentamento del lavoratore; egli, in cambio della sua prestazione lavorativa, ha diritto a percepirla in modo proporzionato, sufficiente, obbligatorio e determinato. L’ ordinamento italiano non dà una esplicita nozione di retribuzione; l’ unica fonte dalla quale è possibile ricavarne una definizione è l’ art. 2094 c.c., disciplinante il contratto di lavoro subordinato. Quando si parla di retribuzione non si fa riferimento soltanto al minimo tabellare, indicato dal contratto collettivo nazionale di lavoro (ccnl), ma anche a tutti quelli elementi accessori, erogati per incentivare la produttività e redditività del lavoratore. Nel nostro paese,il concetto di flessibilità retributiva stenta ad essere compreso sopratutto dall’ imprenditore, in quanto metterlo in pratica significherebbe un elevato spreco di tempo e denaro. Di conseguenza, la contrattazione di secondo livello, aziendale o territoriale, la quale disciplina la ratio e le forme della retribuzione variabile, difficilmente è entrata nella legislazione imprenditoriale. Gli istituti quali l’ elemento economico di garanzia retributiva, le clausole d’ uscita, gli sgravi contributi o le agevolazioni fiscali, tutti a favore di un miglioramento della produttività ed una maggiore partecipazione del lavoratore al tessuto produttivo e aziendale, pur essendo disciplinati dalla legislazione italiana, sono utilizzati quasi per niente nelle piccole e medie imprese e in modo sempre crescente, ma molto a rilento, nelle grandi imprese. In Italia la maggior parte delle imprese sono di piccole e medie dimensioni, quindi è evidente come la percentuale della presenza della contrattazione decentrata, soltanto nelle grandi multinazionali, sia ridotta. Esistono diverse forme di retribuzione variabile. Il punto di partenza è sempre la retribuzione a tempo, cioè il minimo salariale garantito, a prescindere dal risultato conseguito dal lavoratore. Una primordiale forma di retribuzione incentivante è la retribuzione a cottimo; il fine ultimo della prestazione lavorativa in tale fattispecie è il rendimento del lavoratore, strumento di miglioramento non solo della produzione ma anche della redditività dell’ impresa. La vera partecipazione del lavoratore però, acquisendo a volte anche una parte del rischio d’ impresa, è riscontrabile con nelle nuove forme incentivanti di retribuzione: la partecipazione agli utili o ai prodotti, la provvigione o l’ acquisizione di azioni societarie dell’ azienda per la quale si lavora. Con la partecipazione agli utili o ai prodotti, il lavoratore assume il rischio d’ impresa in quanto il suo compenso è commisurato al risultato economico e produttivo del datore di lavoro. Nella retribuzione a provvigione, similmente al cottimo, il compenso è commisurato al risultato del lavoro prestato dal lavoratore, il cui rischio incombe sostanzialmente su quest’ ultimo: un rischio più lieve in quanto non influisce sul risultato economico del datore. Qualora lo statuto e l’ assemblea aziendali lo prevedano, al lavoratore possono essere assegnate alcune azioni della società per la quale lavora. Il lavoratore così acquisisce la qualifica di socio della società e anche tutti i diritti e i doveri di partecipazione. La tipologia di retribuzione in natura maggiormente diffusa oggi è quella dei fringe benefits, elementi complementari alla retribuzione principale, i quali consistono nella concessione in uso di beni e servizi da parte del datore nei confronti dei lavoratori. A prescindere dall’ erogazione o meno di queste forme retributive accessorie, il lavoratore ha sempre diritto al minimo contrattuale, ex art. 36 Cost. Ancor oggi ci si chiede se la retribuzione variabile abbia effettivamente una funzione incentivante.
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