Riassunto analitico
Il presente lavoro si concentra su un’esperienza di nuove ruralità, maturata nella Val di Susa innervata dall’interrogazione politico-culturale del movimento NO TAV. Il lavoro ha inteso spostare l’attenzione dall’aspetto di opposizione alla grande opera verso una dimensione di risposta proattiva al conflitto, orientata all’auto-organizzazione del quotidiano e alla sperimentazione sociale, in particolare all’interno di una rete di nuovi contadini.
Il primo capitolo ricostruisce la presa sociale che ancora mantiene, residualmente, l’immaginario industriale nella valle piemontese. Nonostante che la Val di Susa abbia conosciuto una precoce industrializzazione e ancora presenti un diffuso tessuto industriale, il movimento NO TAV si dimostra capace di far circolare discorsi critici e spunti teorici che – sostenendo la battaglia contro le infrastrutture legate al progetto di nuova linea Torino-Lione sulla base di motivazioni di carattere ambientale, economico, sanitario e politico – si indirizzano presto verso una contestazione del modello socioeconomico proprio del TAV e delle Grandi Opere nel suo complesso. Il lavoro di critica politico-culturale svolto negli anni dal movimento NO TAV si sta rivelando capace di stimolare processi di autorganizzazione produttiva, improntati a una forte carica etica ambientalista. All’interno di tali sperimentazioni, il focus delle mie attenzioni si è presto incentrato su un gruppo di nuovi agricoltori. Il secondo capitolo si concentra sulla rete di nuovi agricoltori valsusini che ha presto capitalizzato la mia attenzione etnografica, configurandosi come il vero e proprio soggetto della ricerca di campo. Il capitolo ne mette in risalto il legame culturale col movimento NO TAV nel passaggio da un movimento «contro» (una grande opera) a un movimento «per» (un’economia etica e sostenibile). Questo tipo di discorso culturale sembra capace di favorire un tipo di reazione alla minaccia della grande opera che incorpora una risposta proattiva al TAV. Di fronte alla riduzione della vita dei valsusini a nuda materia messa in pericolo dalla costruzione dell’infrastruttura, diventare contadini significa rivestire di «senso» la propria esistenza, organizzando un’alternativa economica fuori dal sistema proprio del TAV e delle Grandi Opere. Le forme di tale percorso collettivo di conversione rurale presentano interessanti caratteristiche culturali: dall’attitudine a far circolare stimoli teorici e pratici, alla capacità di collaborazione sulla base delle affinità, alla pratica dei rapporti di scambio orientata al superamento della distinzione tra produttore e consumatore di prodotti alimentari.
Il terzo capitolo presenta tre casi etnografici di riattivazione produttiva di pratiche e conoscenze provenienti dal passato, finalizzati ad aprire possibilità di produzione per un’agricoltura alternativa valsusina che si presenta oggi come precaria, marginale, minoritaria, e che soffre di forti deficit in termini di capacità di produzione. Il recupero di vecchie macchine per la trasformazione dei prodotti agricoli, l’organizzazione di una filiera valligiana della canapa ispirata alla storica diffusione della fibra in Val di Susa e valli limitrofe, l’espansione della produzione di un antico ortaggio locale connessa a un processo di tipicizzazione dello stesso, rappresentano delle strategie culturali che, aprendo delle possibilità di produzione, mirano a rendere possibile la sottrazione dal sistema agro-industriale.
Il caso dei contadini valsusini configura una risposta proattiva al conflitto sul TAV, che arriva a trascendere il conflitto stesso per imbastire le linee di un diverso modello socioeconomico, non più informato alla cultura della passività, della delega e della distruzione ambientale, ma improntato a protagonismo, creatività e sensibilità ecologista.
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Abstract
This work deals with a network of new peasants emerging in the Susa valley in the wider context of the process of political and cultural questioning taking place along with the NO TAV movement. My contribution has meant to shift the focus from the well-known dimension of environmental conflict between the promoters of and the opponents to the mega project of a new high-speed railway line (the TAV project), towards a dimension of proactive, social response to the conflict, taking the form of attempts of self-organization and socio-economic experimentation and innovation.
The first chapter reconstructs the social rootedness that the industrial imaginary still maintains, though residually, in the valley. Although the Susa valley has experienced a precocious industrialization and still is characterized by a widespread industrial fabric, the NO TAV movement shows itself capable of a circulation of critical discourses and theoretical insights which soon result in an overall challenge to the socioeconomic model the TAV, and mega projects in general, are part of. The work of cultural questioning performed throughout the years by the NO TAV movement is revealing itself capable of stimulating experiments of ethically and environmentally oriented, self-organized production. Among these experimentations, my attention has soon been captured by a local network of new peasants.
The second chapter concentrates on the local network of new peasants , which soon became the core of my ethnographic attention. The chapter highlights the cultural bond between the rural social experiment and the NO TAV movement as it evolves from a mobilization against a mega project to a movement in favor of an ethical and sustainable economy. This cultural discourse seems capable of promoting a kind of reaction to the threat of the mega-project taking the form of a proactive response: becoming a peasant (and part of a group of peasants) means turning one’s own life, from just anything being reduced to some kind of “naked matter” endangered by a mega-project, “meaningful”. The forms of this collective path of rural conversion reveal some interesting cultural features, such as: an aptitude for the circulation of theoretical and practical insights; a capacity for collaboration on the basis of affinity; a practice of exchange relationships aiming at overcoming the distinction between food producers and consumers.
The third chapter presents three ethnographic cases of developing new knowledge, expertise and practices by rediscovering, reintroducing and reinventing products, tools and practices from the past, with the purpose of opening new possibilities of production for an alternative local agriculture suffering from precariousness, marginality and a weak capacity of production. The restoration and reuse of old rural machinery for the transformation of agricultural products; the organization of a local production chain of hemp inspired by the historical diffusion of hemp in the Susa valley and adjacent valleys; the expansion of the production of an ancient local onion, represented as typical; all these phenomena amount to cultural strategies opening up new possibilities of production, aiming at making moving away from the agro-industrial system possible.
The neo-rural phenomenon in the Susa valley represents a proactive response to the conflict around the TAV transcending the conflict itself towards forms of self-organization of a new socio-economic model: not one based anymore on a culture of passivity, delegation and environmental destruction, but rather one oriented towards involvement, creativity and ecological awareness.
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