Riassunto analitico
L’elaborato si propone di analizzare i presupposti e le possibili conseguenze relative all’inserimento di talune fattispecie penali tributarie nel catalogo dei reati imputabili agli enti di cui al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Dagli esordi della c.d. “disciplina 231” si è consumato un vivace dibattito sull’opportunità di inserimento dei reati contenuti nel D.Lgs. 74/2000, «Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto». Una parte della dottrina sosteneva che tale inserimento era necessario a causa della crescente incidenza dell’evasione fiscale nell’ordinamento italiano e constatava che le condotte relative a queste fattispecie di illecito si prestano ad essere particolarmente consone al contesto della criminalità di impresa. Ciò ha condotto la giurisprudenza di legittimità ad adottare degli escamotage interpretativi per far sorgere una responsabilità ex 231 dell’ente da reato tributario. Tali espedienti facevano leva, fra gli altri, sull’istituto della confisca e sulla configurabilità dei reati tributari come reati-scopo di altri reati-presupposto presenti nel D.Lgs. 231/2001. Questa situazione è cambiata solo a seguito di spinte di natura sovranazionale e nello specifico della Direttiva UE 2017/1371, c.d. Direttiva PIF, a seguito della quale il legislatore nazionale ha dovuto inserire una forma di responsabilità da illecito tributario degli enti collettivi e lo ha fatto dapprima con il D.Lgs. 124/2019 e la relativa legge di conversione, L. n. 157/2019 (accompagnata dal suggestivo, quanto consueto slogan “manette agli evasori”); e in un secondo momento con il D.L. 75/2020. Il presente contributo mira certamente a sottolineare l’opportunità e la coerenza di tale riforma con il contesto dottrinale e giurisprudenziale precedente, ma allo stesso tempo ad evidenziarne alcuni profili di problematicità. La novella, quindi, si imbatte, in primo luogo, nelle questioni relative al doppio binario sanzionatorio penale tributario, oggetto già nel diritto della persona fisica di molteplici discussioni circa la sua compatibilità con le indicazioni fornite dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nei leading cases che si sono succeduti negli anni. La trattazione, prendendo le mosse dall’analisi dei casi che hanno delineato le caratteristiche proprie del principio del ne bis in idem convenzionale, giunge ad esaminare come questo viene declinato in relazione alla nuova responsabilità “penale” degli enti da reato tributario. In secondo luogo, viene proposto un approfondimento dei caratteri specifici del settore penale tributario e di quelli della responsabilità amministrativa degli enti in relazione alla mancata estensione a questi ultimi della causa di non punibilità prevista dall’art. 13 D.Lgs. 74/2000. La scelta del legislatore, che nuovamente mira ad evitare interazioni tra meccanismi di non punibilità e la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, appare stridente con il contesto di riferimento, che si distingue, invece, per il suo carattere premiale e preventivo. Ciò che l’elaborato tenta di fare è, dunque, una disamina delle possibili implicazioni della c.d. “riforma fiscale” relativamente all’ introduzione dei reati tributari nel D.Lgs. 231/2001, analizzando come queste si intrecciano ad ulteriori e più ampie problematiche. La mancanza di coordinamento e le contraddizioni messe in evidenza dalla presente trattazione fanno auspicare un nuovo intervento da parte del legislatore relativamente ad una riforma che si manifesta sicuramente opportuna ma non ancora completa.
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