Riassunto analitico
L’elaborato tratta il tema, molto discusso negli ultimi anni, della qualificazione del rapporto di lavoro che sussiste tra i gig workers, più nello specifico i riders, e le società che operano mediante piattaforme digitali, coinvolgendo giudizi a livello europeo. L’autore ripercorre le tappe evolutive del settore food delivery, mettendo in risalto un aspetto contradditorio: quello che agli occhi di molti potrebbe apparire come un settore innovativo, in realtà nasconde alle sue spalle una lunga tradizione. Si tratta di un mestiere che risale alla Francia del XIV secolo. Rispetto ad allora, sono mutati gli strumenti e il modo in cui viene svolto, che, grazie all’arrivo delle nuove tecnologie, lo hanno reso più rapido e più efficiente. In seguito, l’autore tenta, senza pretesa di esaustività, di analizzare le principali controversie giudiziarie del settore avvenute in Italia e in Europa. A livello nazionale, nei primi giudizi si era soliti qualificare i ciclofattorini come lavoratori autonomi, per poi passare alla figura intermedia creata dal d. lgs. 81/2015, fino a classificare il rapporto come subordinato. Questa evoluzione la ritroviamo anche in altri ordinamenti: alcuni Paesi si sono limitati al c.d. tertium genus (Inghilterra), mentre altri hanno deciso a favore della subordinazione (Francia e Spagna). In entrambi i casi le controversie sono passate attraverso tutti i gradi di giudizio, fino a giungere al vaglio delle Corti Supreme, che hanno confermato una tendenza giurisprudenziale emergente a livello mondiale. È proprio in questo panorama confuso e non regolamentato che si inserisce l’intervento dell’Unione Europea con la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nella gig economy. In particolare si prevede l’introduzione di una presunzione legale di subordinazione, in accordo con la giurisprudenza più recente. Sarà questa la retta via? Nel frattempo l’autore propone una soluzione alternativa.
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