Riassunto analitico
Generalmente, quando si vuole produrre un portamozzo bisogna distinguere se si tratta del caso di una vettura ad uso stradale o sportiva. Questo perché nel primo caso ciò che è di maggiore interesse è l’affidabilità strutturale del componente, mentre nel secondo si preferisce l’aspetto relativo alle performance. Con questo termine, in tal caso, si intende la diminuzione di peso perché tale riduzione va a beneficio delle caratteristiche di maneggevolezza dell’intero veicolo. Tuttavia, è necessario mantenere una certa affidabilità a livello strutturale. Dunque, poiché il portamozzo di cui si sta discutendo è da montare su una vettura di formula SAE, l’obbiettivo primario è il raggiungimento di un certo livello di prestazioni. La vettura del team MMR More Modena Racing monta attualmente dei portamozzi in alluminio, che sono stati costruiti per mezzo di tradizionali procedimenti di asportazione di truciolo. Più nello specifico è stato utilizzato un processo di fresatura per produrli. Si tratta di lavorazioni relativamente semplici e non troppo costose, ma che non permettono di ottenere geometrie particolarmente complesse. Questi componenti assicurano tuttora un grado di affidabilità soddisfacente e un peso tutto sommato accettabile, ma in un’ottica di continuo miglioramento della vettura si cercano sempre soluzioni migliori e/o innovative. Per ottimizzare il componente in esame, e quindi raggiungere un livello prestazionale più elevato, è stato utile valutare l’impiego di tecnologie di produzione alternative come, ad esempio, le tecniche di Additive Manufacturing (AM). Queste si sono rivelate particolarmente utili perché presentavano dei vincoli tecnologici meno restrittivi rispetto ai procedimenti con asportazione di truciolo, in termini di forme e geometrie riproducibili. Pertanto, è stata portata avanti un’ottimizzazione topologica del portamozzo che ha permesso un risparmio di peso, pur mantenendo una rigidezza comparabile a quella dei pezzi prodotti per fresatura. Tuttavia, è stato comunque necessario svolgere delle lavorazioni successive (parziali) per rispettare le tolleranze imposte da progetto. La rigidezza è stata valutata tramite modelli agli Elementi Finiti, ma per poter dire che i risultati di tali modelli erano affidabili è stato necessario portare avanti un procedimento di validazione. Si trattava, in pratica, di svolgere delle prove di natura sperimentale per replicare il più fedelmente possibile le condizioni di carico reali. Una volta note le normali condizioni di impiego del gruppo ruota ovvero bump, cornering e braking bisognava trovare un modo per poterle applicare. Sono stati allora ricreati dei casi di carico semplificati apposta per essere riproducibili sperimentalmente, infatti, tramite la sovrapposizione degli effetti, la loro combinazione replicava i casi reali considerati. Bisognava tenere conto anche del macchinario di prova che si intendeva utilizzare, ovvero una macchina di trazione uniassiale. Per poter applicare quindi tali forze bisognava effettuare una progettazione di un apposito sistema di afferraggi modulari, in grado di collegare il portamozzo al macchinario e rendendo possibile la riproduzione dei suddetti sotto casi di carico. Note le condizioni di carico e i risultati dati dai modelli agli Elementi Finiti, dopo aver prodotto tutti gli afferraggi e supporti progettati, l’ultimo passo è stato lo svolgimento delle prove sperimentali. In quest’ultimo step l’obbiettivo era quello di registrare gli spostamenti a seguito dell’applicazione dei carichi e confrontarli con i risultati provenienti dai modelli agli elementi finiti.
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