Riassunto analitico
Oggetto di questa tesi è la percezione che la stampa emiliana ebbe del nascente fascismo cercando il punto in cui il fenomeno fascista fu assunto come attore di rilievo, non più solo rumoroso e violento comprimario. Per fascismo si intende il movimento militarmente organizzato, saldamente legato al mondo agrario, sviluppatosi con crescente pervasività nelle province dell’Emilia occidentale: Modena, Reggio nell’Emilia e Parma. Le agitazioni del primo dopoguerra emiliano furono fenomeno di massa, in particolare quelle legate al mondo agricolo. Qui il rinato fascismo del 1920 si sviluppò a partire dai conflitti agrari e trovò risorse e committenza. La fase di normalizzazione delle tensioni del primo dopoguerra non fu composizione partecipata o negoziato riassetto, ma, risultato diretto delle forze in campo. Il fascismo fu l’attore collettivo dotato di mezzi, tecnologia, organizzazione e del coordinamento dell’uso della violenza che altri non ebbero. L’aggressiva verbosità socialista, in misura minore sindacalista cattolica, e alcuni loro atti violenti, talora efferati, furono velleitari, scomposti e senza prospettiva. Quindi, non furono funzionali alle loro rivendicazioni, al contrario, funsero da legittimazione, per quanto spuria, dell’azione squadrista. La ricerca è condotta attraverso lo spoglio dei tre più rilevanti filoni giornalistici emiliani: liberale, cattolico e socialista, per ciascuna delle tre province di Modena, Reggio nell’Emilia e Parma. Il periodo considerato inizia con la fase avanzata delle vertenze agricole e la conclusione dell'occupazione delle fabbriche, termina con la primavera 1921, prima delle elezioni politiche all’altezza del Congresso dei Fasci emiliani del 3 aprile 1921. Il cambio della percezione del fenomeno fascista è contenuto in questo intervallo temporale.
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