Riassunto analitico
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, unitamente ai piani di risanamento di cui all'art. 67, III comma, lettera d), della cosiddetta Legge Fallimentare, hanno rappresentato il primo tentativo di tipizzazione normativa dell'istituto del concordato stragiudiziale. Il diritto fallimentare italiano è stato oggetto, infatti, di numerosi e reiterati interventi di riforma che hanno profondamente modificato l'originaria struttura del sistema fallimentare delineato dal Legislatore del 1942, allo scopo di adeguare la normativa alle esigenze connesse ai mutamenti ed alle evoluzioni socio-economiche del Paese. In particolare, nel corso degli anni, il Legislatore ha avvertito l'esigenza di far fronte all'eccessiva rigidità degli istituti originariamente previsti per la soluzione delle crisi di impresa mediante l'introduzione e/o la modifica di alcuni istituti giuridici atti a favorire l'iniziativa economica privata e ad evitare la procedura fallimentare. Dal 2005, infatti, si sono succedute svariate riforme, volte a far emergere le situazioni di crisi dell'impresa prima che le stesse potessero diventare irreversibili, allo scopo di favorire soluzioni private e negoziate delle medesime. Proprio per tale fine sono stati modificati alcuni istituti già esistenti, quali il concordato preventivo, e sono stati introdotti nuovi istituti, quali il piano di risanamento e, appunto, gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Tale iter di riforma dell'originario assetto normativo, in materia fallimentare, avviato con le riforme del 2005, è poi proseguito con le modifiche introdotte dal D. Lgs. n. 169/2007, dalla Legge n. 122/2010, dalla Legge n. 134/2012, nonché dalla Legge n. 132/2015, volte a favorire il superamento delle difficoltà dell’imprenditore attraverso strumenti di composizione negoziale della crisi. La soluzione negoziale dello stato di crisi ha trovato una propria autonoma disciplina normativa solo a seguito della riforma attuata con il D.L. n. 35/2005, convertito, con modificazioni, nella Legge n. 80/2005 e, a sua volta, perfezionatasi con il D. Lgs. n. 169/2007. Precedentemente all'introduzione di tale disciplina, si discuteva circa la validità del cosiddetto “concordato stragiudiziale” e la sua idoneità ad eliminare lo stato di crisi dell’impresa debitrice. Il nuovo assetto del passivo societario, realizzato mediante un accordo con i creditori, veniva definito “ristrutturazione”. Tale eventuale soluzione della situazione di crisi dell’impresa era sostanzialmente incentrata sulla sola forza e capacità dell’imprenditore di far fronte alla crisi dell'impresa, ricorrendo esclusivamente a mezzi riconducibili alla sua sfera di autonomia privata. La conclusione dei predetti accordi ha poi condotto allo sviluppo, nella prassi, di alcune concrete conseguenze, quali, ad esempio, la protezione e la tutela riservata al debitore da azioni giudiziali esecutive e cautelari da parte di singoli creditori. Nonostante lo sviluppo delle prassi sopra indicate, venne progressivamente avvertita l'esigenza di trovare e disciplinare soluzioni, economicamente apprezzabili, idonee a consentire di risolvere lo stato di crisi garantendo la soddisfazione dei creditori (scopo principale di tutte le procedure concorsuali) e di perseguire, ove possibile, l'obiettivo della conservazione dell’attività d’impresa. Tutte queste situazioni hanno determinato l'introduzione di un'autonoma disciplina della gestione stragiudiziale della crisi d'impresa, quella appunto degli accordi di ristrutturazione.
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