Riassunto analitico
Il tema di questo lavoro è l’inglese vernacolare afroamericano, ossia l’inglese parlato dalla comunità afroamericana negli Stati Uniti. Questa comunità è stata storicamente vittima di discriminazione, a causa dei molti stereotipi negativi a cui è sottoposta. L’inglese vernacolare afroamericano non fa eccezione, spesso considerato una varietà di secondo piano dalla società americana bianca dominante. La letteratura si è tradizionalmente occupata della storia e della morfosintassi di questa varietà, trascurandone gli aspetti pragmatici e comunicativi. L’obiettivo di questa indagine è pertanto l’analisi delle pratiche linguistiche e comunicative dell’inglese vernacolare afroamericano, analizzandone le principali differenze con l’inglese definito “standard” e mostrando che esso è un sistema coerente al pari delle altre varietà. Punto di partenza dell’analisi è la serie tv “The Wire”, serie poliziesca ambientata a Baltimora, città del Maryland a prevalenza afroamericana. La serie è composta da 60 episodi su cinque stagioni, per un totale di circa sessanta ore di video. Utilizzando l’approccio critico al discorso di Fairclough (1995), l’analisi è consistita nell’osservazione empirica delle pratiche linguistiche e comunicative dei personaggi afroamericani della serie attraverso i sottotitoli degli episodi, che sono stati confrontati con i dialoghi originali per garantire la correttezza del testo trascritto. Al fine di evidenziare le principali differenze con l’inglese standard, il telefilm è stato confrontato con la serie tv “Castle”, ambientata a New York e composta da 128 episodi su sei stagioni, per un totale di circa novanta ore di video. Dopo aver introdotto la storia della comunità afroamericana e le principali regole morfologiche, sintattiche e fonologiche dell’inglese vernacolare afroamericano, l’analisi è stata volta ai suoi aspetti pragmatici. Partendo dal modello di Meierkord (1998) sulle formule conversazionali, sono state analizzate le formule rituali caratterizzanti le diverse fasi della conversazione, evidenziando differenze significative l’inglese standard. L’attenzione è stata in seguito rivolta all’analisi dell’organizzazione dei turni conversazionali tra i parlanti afroamericani, rilevando una maggiore presenza di sovrapposizioni e interruzioni rispetto a quanto descritto dal modello di Sacks, Schegloff e Jefferson (1974) per l’inglese standard. Infine, l’attenzione è stata rivolta al ruolo della cortesia nelle conversazioni. Partendo dalla teoria della cortesia di Brown e Levinson (1978), si è dapprima proceduto all’analisi di tre pratiche discorsive afroamericane: il concetto di informazione personale come proprietà, gli “insulti rituali” e il “talking with an attitude”. L’indagine si è infine concentrata su tre vocaboli: “-ass words”, “nigger” e “motherfucker”. L’analisi di questi fenomeni ha così evidenziato una diversa percezione della cortesia tra i parlanti afroamericani e quelli dell’inglese standard. I risultati ottenuti indicano che le pratiche linguistiche e comunicative dell’inglese vernacolare afroamericano non rappresentano una deviazione dalla norma, incarnata dall’inglese standard, ma un sistema coerente con pari dignità alle altre varietà. Questo risultato è in linea con la riflessione che, nel mondo sempre più interconnesso di oggi, il mito dell’inglese standard come unica varietà universalmente accettata sta venendo meno, sostituito dall’idea di “World Englishes” di Kachru (1985), secondo cui ciascuna comunità di parlanti sviluppa una particolare varietà adattandola al contesto sociolinguistico locale, elaborando così una serie di tratti distintivi. La presente analisi vuole offrire un contributo in tale direzione, il più significativo dei quali è lo studio delle formule conversazionali impiegate dai parlanti afroamericani, un fenomeno trascurato dalla letteratura.
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Abstract
The subject of the present analysis is African-American Vernacular English (henceforth AAVE), i.e. the English variety spoken by the African-American community in the United States. This community has historically been a victim of discrimination, because of several negative stereotypes which continue to exist. AAVE is no exception, being often considered a second-class variety by the white American dominant society. The literature has traditionally analysed the history and morphosyntax of this variety, neglecting its pragmatic and communicative aspects. Thus, the aim of the present study is to analyse the linguistic and communicative practices of AAVE speakers, analysing its main differences with the English variety known as “standard” (henceforth SE) and showing that it constitutes a coherent system in the same way as any other variety. The starting point for the present analysis is the TV series "The Wire", a crime series which is set in Baltimore, a city in the state of Maryland with an African-American majority. The series comprises 60 episodes over five seasons, for a total of around sixty hours of viewing. Based on Fairclough’s critical approach to discourse (1995), the analysis entailed the empirical observation of linguistic and communicative practices of the African-American characters in the TV series through the episodes’ captions, which were compared to the original dialogues to guarantee the correctness of the transcript. In order to highlight the main differences with SE, "The Wire" was compared to the TV series "Castle", set in New York and comprising 128 episodes over six seasons, for a total of around ninety hours of viewing. After introducing the history of the African-American community and AAVE main rules of morphology, syntax and phonology, attention was devoted to analysing the pragmatic aspects of this variety. Starting from Meierkord’s model of conversational formulas (1998), the analysis focused on the ritual formulas characterising the opening, core and closing phase of conversations, highlighting significant differences with SE. The attention was then directed to the analysis of the organization of turn-taking in AAVE conversations, discovering a higher frequency of overlaps and interruptions compared to what the model by Sacks, Schegloff and Jefferson (1974) predicts for SE. Finally, attention was devoted to the role of politeness in conversations. Starting from Brown and Levinson’s model of politeness (1978), the analysis initially focused on three AAVE speech practices: the concept of personal information as a property, the system of ritual insults and the practice of "talking with an attitude". The attention was then focused on the use of three specific terms: "-ass words", "nigger" and "motherfucker". The analysis of these practices highlighted a different perception of politeness between AAVE speakers and SE speakers. The results gathered provide evidence that AAVE linguistic and communicative practices do not represent a deviation from the norm, embodied by SE, but rather a coherent system in its own right. These results are in line with the consideration that, in an increasingly interconnected world, the myth of SE as the only universally accepted variety is fading, replaced by the idea of World Englishes developed by Kachru (1985). According to his model, each speech community develops a specific variety by adapting it to its local sociolinguistic context and, thus, elaborating a set of distinctive traits. The present analysis aims to offer a contribution in this direction, the most significant being the study on the peculiar conversational formulas employed by AAVE speakers. Indeed, the analysis of the literature suggests a lack of detailed studies on AAVE formulas employed in the different phases of conversations.
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