Riassunto analitico
Il presente lavoro di tesi ha ad oggetto la disamina del dolo nel diritto penale canonico, che costituisce il settore ove lo spirito canonico risplende maggiormente. Considerando che in materia non esistono molti studi, la dottrina dei commentatori classici è risultata esser del tutto inevitabile. Tutta la prima parte è focalizzata sulle suddette correnti che hanno comportato un viaggio a ritroso sulle origini del concetto di volontà, quale componente del dolo, nella filosofia greca, con la psicologia dell’atto di Aristotele e il pensiero politico di Platone. Le origini del dolo trovano nel diritto Romano la propria espressione. Durante il periodo repubblicano è la Lex Cornelia de sicariis et veneficis ad operare una trasformazione del concetto di responsabilità penale fondata sulla volontà malvagia. E ancora il riferimento al diritto penale barbarico e al processo di involuzione che subisce il concetto giuridico di dolo. Il “primo” diritto penale canonico cercò di attenuare il carattere profondamente bellicoso del diritto germanico, focalizzando la propria attenzione al ruolo assunto dall’elemento soggettivo nella condotta umana e ponendo così le basi di quella che sarebbe divenuta la teoria moderna dell’imputabilità. Si inseriscono, pertanto, le figure di Agostino D’Ippona, per il quale è la passione la causa dalla quale scaturisce il male, ed è il male morale ,difetto della volontà, che guida l’uomo al peccato; e Tommaso D’Aquino, secondo il quale il perno su cui si fonda l’azione umana è il rapporto tra volontà e coscienza che rappresenta il momento cruciale di esercizio della libertà umana. In questo periodo si parla principalmente di peccato e di una riconciliazione del peccatore, che deve esser punito pubblicamente. I Libri Penitenziali ne sono la prova più evidente. E ancora il Decretum Gratiani che individua nel crimine la volontà cosciente di arrecare danno, di nuocere. Con il Concilio di Trento si accentua la responsabilità dell’uomo e il peccato diviene la fusione di due componenti: la libertà di agire e la conoscenza. All’indomani del Concilio, la figura di Francisco Suárez prende il sopravvento. Secondo il canonista un atto non può esser libero solo prima di esser realizzato, poiché il peccato è nell’atto stesso, ed è l’assenza di giudizio a provocare un’azione volontaria. Il confronto con l’Aquinate, che attribuisce alla volontà la colpa originaria della deviazione dalla fede, e in particolare alla volontà corrotta dell'uomo, è quindi inevitabile. A seguito del Concilio Vaticano I venne redatto il Codice pio-benedettino, fortemente influenzato dall’operato dell’Hollweck, e ove il dolo è voluntas violandi legem, la volontà da cui scaturisce un atto che è posto in essere per raggiungere determinati effetti antigiuridici, e solo una prova contraria precluderebbe la presunzione di dolo. La normativa attuale ha subito delle notevole differenze rispetto a quanto prospettato dal Codex del 17, ove era il dolo ad esser presunto e non l’imputabilità generalmente intesa. Il Codice giovanneo-paolino presume infatti l’imputabilità, che è presunzione della libertà dell’atto che ha violato la norma, sia che tale violazione sia dolosa o colposa. In materia di dolo il canone 1321 n. 2 parla di violazione deliberata della legge o del precetto; si ha perciò dolo quando il soggetto conosce la legge che intende violare. Il n. 3 del canone 1321 libera, poi, il reo dall’onere di dover provare che il suo comportamento non è stato doloso. Per ultimo si è proseguito al confronto con il dolo del diritto penale italiano, inteso come coscienza e volontà di compiere un illecito penale, la cui imputabilità è una qualità del soggetto, a differenza del diritto canonico ove l’imputabilità, quale qualità dell’atto, giuridicamente intesa è sempre imprescindibile dalla morale, in quanto a fondamento di ogni delitto c’è sempre una colpa morale.
|