Riassunto analitico
La crisi della giustizia pubblica in Italia è un fenomeno attuale di cui si è a lungo dibattuto nel corso degli anni. Quali aspetti negativi rilevano l’inadeguata organizzazione della magistratura, l’irragionevole durata dei processi, l’aumento del contenzioso, l’incertezza del diritto a cui si è aggiunta di recente anche l’emergenza sanitaria da Covid-19 che è stata la causa del blocco e conseguente rinvio di molte udienze. Partendo da tale contesto di crisi, anzitutto, l’elaborato si propone di analizzare gli strumenti ADR (Alternative Dispute Resolution) come valide alternative al ricorso alla giustizia ordinaria per deflazionare il contenzioso. Con particolare attenzione alle controversie di lavoro, sono stati esaminati gli strumenti dell’arbitrato, della mediazione e della negoziazione assistita per poi concentrare la trattazione in modo più approfondito sulla conciliazione. La conciliazione è uno strumento alternativo alla giurisdizione caratterizzato dalla presenza di un terzo estraneo, il conciliatore, che coadiuva le parti nella gestione e risoluzione di una controversia. La storia del tentativo di conciliazione ha visto un alternarsi fra obbligatorietà e facoltatività. Solo con l. n. 183/2010, c.d. Collegato lavoro, il tentativo obbligatorio di conciliazione è stato definitivamente abbandonato in favore di una più ampia libertà di scelta fra il ricorso agli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie e la proposizione diretta al giudice del lavoro della domanda giudiziale. Nonostante ciò, permangono alcune ipotesi di obbligatorietà del tentativo di conciliazione. La prima ipotesi riguarda le controversie in ordine ai contratti certificati ex art. 80, comma 4, d.lgs. n. 276/2003. La seconda ipotesi è prevista nell’art. 412 quater, comma 8, c.p.c. che, nel disciplinare le altre modalità di conciliazione e arbitrato, dispone che “all’udienza di trattazione il collegio arbitrale esperisce un tentativo di conciliazione". Inoltre, prima del 2015, il tentativo obbligatorio di conciliazione era previsto in via preventiva all’intimazione del licenziamento per giustificato motivo oggetto come da l. n. 92/2012. Successivamente il d.lgs. n. 23/2015 ha però esonerato dall’obbligo in questione tutti i licenziamenti intimati a far data dal 7 marzo 2015. Pertanto, l’obbligo permane solo con riferimento ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo di imprese che contano più di quindici dipendenti e con riferimento alle assunzioni fino al giorno precedente l’entrata in vigore del presente decreto. La conciliazione è possibile in sede giudiziale davanti al giudice, e in questo caso risulta obbligatoria, oppure in sede stragiudiziale presso una le sedi protette quali le Commissioni di conciliazione istituite presso gli Ispettorati territoriali del lavoro, le sedi previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, nonché i Collegi di conciliazione e arbitrato. L’elaborato prosegue poi trattando le altre ipotesi di conciliazione. La conciliazione monocratica, di cui all’art. 11, d.lgs. n. 124/2004, rientra tra le procedure di conciliazione facoltative dal carattere stragiudiziale e di origine amministrativa. Segue la conciliazione nel caso d’impugnazione della certificazione dei contratti di lavoro la cui obbligatorietà viene ribadita nell’art. 31, comma 2 del Collegato lavoro del 2010. A seguire, vi è la conciliazione preventiva all’intimazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex art. 7, l. n. 604/1966 come modificato dalla l. n. 92/2012. Infine, il Jobs Act del 2015 ha previsto una ulteriore procedura conciliativa in caso di licenziamento illegittimo. Si tratta della conciliazione a “tutele crescenti”. L’elaborato si conclude infine con un breve richiamo alla conciliazione nel lavoro pubblico.
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