Riassunto analitico
L’apomorfina è un composto di origine semisintetica, ottenuto a partire da morfina attraverso una reazione di disidratazione in catalisi acida. È riconosciuta come uno dei più antichi farmaci, la cui prima sintesi in forma di sale cloridrato risale al 1869, ad essere tuttora impiegato in terapia, come confermato dal grande interesse da parte di medici ed esperti e numerosi impieghi terapeutici che le sono stati attribuiti nel corso degli anni. Inizialmente, ha avuto un uso ristretto al campo veterinario, sia come emetico, per indurre il vomito in animali nei casi di avvelenamento, che come rimedio per disturbi comportamentali. In campo umano è stato inizialmente utilizzato come sedativo, antipsicotico, emetico, anticonvulsivante e nel trattamento della disassuefazione da alcool e sostanze oppioidi. Solo nel 1965, grazie ad Ernst, sono state messe in luce le affinità strutturali con la dopamina che hanno permesso di confermare, pochi anni più tardi, il suo potenziale ruolo terapeutico nella terapia del Parkinson. Attualmente il principale impiego è proprio relativo a questa patologia neurodegenerativa, attraverso infusioni continue o iniezioni intermittenti sottocutanee. Un trattamento piuttosto efficace come terapia di salvataggio nella conversione degli stati OFF ad ON, ma che presenta dei limiti dovuti alla scarsa praticità nella somministrazione e a fenomeni di irritazione/infiammazione cutanea per le ripetute iniezioni giornaliere. Scienziati e ricercatori di tutto il mondo da anni lavorano per ottenere una formulazione non invasiva che possa garantire una compliance totale da parte del paziente, con l’obiettivo di mantenere le grandi potenzialità farmacologiche che questa molecola possiede. Lo scopo di questo studio consiste nell’enfatizzare il valore terapeutico dell’apomorfina nella gestione dei sintomi del Parkinson, evidenziando le sfide che offre in campo farmaceutico, attraverso sia un’analisi delle caratteristiche chimico-strutturali e dei parametri farmacocinetici, da cui si evince l’esigenza di ulteriori innovazioni in campo formulativo, sia una riflessione accurata sulle ricerche attualmente in corso. Diversi studi, hanno sperimentato vie di somministrazione del tutto nuove, come la via nasale, l’inalatoria e la transdermica, altri invece hanno ripreso alcune già utilizzate in passato o tutt’ora in uso, ma con un approccio differente. Ad esempio, la somministrazione per via orale, da tempo abbandonata a causa della scarsa biodisponibilità, è stata riconsiderata attraverso un nuovo progetto con l’utilizzo di profarmaci diesterificati di apomorfina caricati all’interno di veicoli lipidici studiati per promuovere l’assorbimento verso il sistema linfatico, evitando così gli effetti di primo passaggio a livello epatico. Da rilevare che la somministrazione di Apomorfina per via sublinguale invece risulta già presente sul mercato da circa 20 anni, come trattamento per la disfunzione erettile, in alternativa ai classici inibitori della PDE5, attraverso forme farmaceutiche sublinguali basso dosate (2 o 3 mg). Sulla base di un’ampia letteratura su questa formulazione e via di somministrazione, sono presenti studi (ora in fase clinica 3) rivolti all’utilizzo di apomorfina sublinguale anche per il trattamento del Parkinson. In particolare, la maggiore innovazione vede la formulazione di apomorfina in una forma farmaceutica sublinguale a doppio strato, contenente quindi il farmaco ed anche un tampone per neutralizzare l’acidità durante le fasi dell’assorbimento, preservando l’integrità della mucosa orale. Se approvata, questa nuova formulazione rappresenterebbe una svolta storica nel trattamento delle varie tipologie di fenomeni OFF, andando a migliorare enormemente la compliance dei pazienti, producendo un impatto estremamente positivo sulla qualità della loro vita.
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Abstract
L’apomorfina è un composto di origine semisintetica, ottenuto a partire da morfina attraverso una reazione di disidratazione in catalisi acida.
È riconosciuta come uno dei più antichi farmaci, la cui prima sintesi in forma di sale cloridrato risale al 1869, ad essere tuttora impiegato in terapia, come confermato dal grande interesse da parte di medici ed esperti e numerosi impieghi terapeutici che le sono stati attribuiti nel corso degli anni.
Inizialmente, ha avuto un uso ristretto al campo veterinario, sia come emetico, per indurre il vomito in animali nei casi di avvelenamento, che come rimedio per disturbi comportamentali.
In campo umano è stato inizialmente utilizzato come sedativo, antipsicotico, emetico, anticonvulsivante e nel trattamento della disassuefazione da alcool e sostanze oppioidi.
Solo nel 1965, grazie ad Ernst, sono state messe in luce le affinità strutturali con la dopamina che hanno permesso di confermare, pochi anni più tardi, il suo potenziale ruolo terapeutico nella terapia del Parkinson.
Attualmente il principale impiego è proprio relativo a questa patologia neurodegenerativa, attraverso infusioni continue o iniezioni intermittenti sottocutanee. Un trattamento piuttosto efficace come terapia di salvataggio nella conversione degli stati OFF ad ON, ma che presenta dei limiti dovuti alla scarsa praticità nella somministrazione e a fenomeni di irritazione/infiammazione cutanea per le ripetute iniezioni giornaliere.
Scienziati e ricercatori di tutto il mondo da anni lavorano per ottenere una formulazione non invasiva che possa garantire una compliance totale da parte del paziente, con l’obiettivo di mantenere le grandi potenzialità farmacologiche che questa molecola possiede.
Lo scopo di questo studio consiste nell’enfatizzare il valore terapeutico dell’apomorfina nella gestione dei sintomi del Parkinson, evidenziando le sfide che offre in campo farmaceutico, attraverso sia un’analisi delle caratteristiche chimico-strutturali e dei parametri farmacocinetici, da cui si evince l’esigenza di ulteriori innovazioni in campo formulativo, sia una riflessione accurata sulle ricerche attualmente in corso.
Diversi studi, hanno sperimentato vie di somministrazione del tutto nuove, come la via nasale, l’inalatoria e la transdermica, altri invece hanno ripreso alcune già utilizzate in passato o tutt’ora in uso, ma con un approccio differente. Ad esempio, la somministrazione per via orale, da tempo abbandonata a causa della scarsa biodisponibilità, è stata riconsiderata attraverso un nuovo progetto con l’utilizzo di profarmaci diesterificati di apomorfina caricati all’interno di veicoli lipidici studiati per promuovere l’assorbimento verso il sistema linfatico, evitando così gli effetti di primo passaggio a livello epatico.
Da rilevare che la somministrazione di Apomorfina per via sublinguale invece risulta già presente sul mercato da circa 20 anni, come trattamento per la disfunzione erettile, in alternativa ai classici inibitori della PDE5, attraverso forme farmaceutiche sublinguali basso dosate (2 o 3 mg). Sulla base di un’ampia letteratura su questa formulazione e via di somministrazione, sono presenti studi (ora in fase clinica 3) rivolti all’utilizzo di apomorfina sublinguale anche per il trattamento del Parkinson. In particolare, la maggiore innovazione vede la formulazione di apomorfina in una forma farmaceutica sublinguale a doppio strato, contenente quindi il farmaco ed anche un tampone per neutralizzare l’acidità durante le fasi dell’assorbimento, preservando l’integrità della mucosa orale.
Se approvata, questa nuova formulazione rappresenterebbe una svolta storica nel trattamento delle varie tipologie di fenomeni OFF, andando a migliorare enormemente la compliance dei pazienti, producendo un impatto estremamente positivo sulla qualità della loro vita.
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