Riassunto analitico
La patologia di Alzheimer (AD – Alzheimer’s disease) è la più comune forma di demenza, a decorso cronico e progressivo. La demenza è causata dal danno alle cellule nervose, come conseguenza di ciò i neuroni non sono più in grado di funzionare normalmente e possono andare incontro a morte. La malattia evolve quindi attraverso un processo degenerativo che distrugge lentamente e progressivamente le cellule cerebrali e provoca un deterioramento irreversibile di tutte le funzioni cognitive superiori, come la memoria, il ragionamento e il linguaggio, fino a compromettere l'autonomia funzionale e la capacità di compiere le normali attività quotidiane. L'inizio è generalmente insidioso e graduale e il decorso lento, con una durata media di 8-10 anni dalla comparsa dei sintomi. Il rischio di contrarre la malattia aumenta con l'età, anche se non si tratta di una malattia che colpisce i soli anziani; esistono infatti casi di persone che possono presentare un esordio precoce della malattia, prima della quinta decade di vita. Il 99% dei casi di malattia di Alzheimer si manifesta in soggetti che non hanno una chiara familiarità, solo l'1% dei casi è causato da un gene alterato che determina la trasmissione di AD da una generazione all'altra. Tra le alterazioni cerebrali, che si pensa contribuiscano allo sviluppo di AD, si osserva l’accumulo di proteina β-amiloide all’esterno dei neuroni, questi accumuli prendono il nome di “placche senili” o “placche di β-amiloide”; e l’accumulo di una forma alterata della proteina tau all’interno dei neuroni, questi accumuli prendono il nome di “grovigli neurofibrillari”. Si pensa che l’accumulo di placche di β-amiloide interferisca con la comunicazione neuronale; mentre i grovigli neurofibrillari bloccano il trasporto dei nutrienti e di altre molecole essenziali all’interno della cellula nervosa, tali alterazioni contribuiscono alla morte neuronale. La chimica farmaceutica ha applicato diversi approcci per la scoperta di nuovi principi attivi, utili nel trattamento della malattia di Alzheimer; nella presente Tesi ho evidenziato come si è giunti alla scoperta di tre prodotti: donepezil e rivastigmina, due farmaci inibitori della acetilcolinesterasi, farmaci sintomatici, e di un nuovo prodotto inibitore della proteasi BACE che dovrebbe prevenire l’evolversi della malattia. Una volta compresa l’importanza del quantitativo di acetilcolina nel SNC in questa patologia, si è giunti alla scoperta del donepezil mediante studi SAR su serie di composti; la rivastigmina ha preso invece come spunto l’attività anti-acetilcolinesterasica della fisostigmina, un alcaloide naturale. Un approccio più innovativo (l’uso dei frammenti per ottenere candidati farmaci) è stato invece usato per la scoperta di sostanze in grado di inibire un target di recente scoperta, la proteasi BACE. Tutti e tre gli approcci (sia quelli più datati, che quello più recente) sono stati comunque in grado di permettere la scoperta di sostanze clinicamente utili, anche se l’inibitore di BACE attualmente non è in commercio. La chimica farmaceutica è quindi in grado di progettare, in vario modo, sostanze con un potenziale terapeutico: il problema principale è costituito dalla individuazione del target (o dei target) che deve essere modulato per ottenere tale potenziale, nonché dalla messa a punto del saggio biologico che consenta una rapida valutazione dei prodotti, e che tenga conto della complessità dell’organismo vivente. Il riposizionamento dei farmaci noti o l’ottimizzazione selettiva degli effetti collaterali di alcuni di essi ha dato per ora risultati contrastanti; una volta compreso esattamente il percorso della malattia, non è detto che anche tali approcci possano fornire risultati degni di rilievo.
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