Riassunto analitico
Il virus HIV-1 (Human Immunodeficiency virus-1) è in grado di instaurare un’infezione nell’uomo che comporta una grave patologia (AIDS, Acquired Immune Deficiency Syndrome) dove il paziente perde l’immunocompetenza e diventa vulnerabile nei confronti di tumori o infezioni altrimenti innocui. L’infezione da HIV-1 è ancora al centro di molte ricerche poiché non esiste una terapia in grado di eradicare completamente il virus e 36.9 milioni di persone sono HIV+. Nell’ultimo decennio, grazie alla terapia HAART (Highly active antiretroviral therapy) è stato possibile ridurre significativamente la replicazione virale permettendo ai pazienti HIV+ di avere una qualità e una durata della vita simile ai soggetti sieronegativi. L’efficacia della terapia viene misurata attraverso il valore del viral load, ovvero il numero delle copie virali per millilitro di sangue, oppure grazie alla conta/μL dei linfociti CD4+, target del virus la cui deplezione comporta la perdita dell’immunocompetenza. Nei pazienti HIV+ trattati con HAART si osserva comunque una maggiore incidenza di patologie correlate ad una eccessiva attivazione immunitaria e un aumentato rischio di morte rispetto ai sieronegativi. Negli ultimi anni è stato introdotto come marker di efficacia anche il rapporto CD4+/CD8+, poiché è stato proposto che durante l’infezione da HIV-1 non ci sia solo un calo di CD4+, ma uno squilibrio dell’intero sistema immunitario. Nuove e continue evidenze ottenute in clinica hanno portato alla luce i limiti dell’attuale approccio terapeutico e la necessità di avere a disposizione nuovi marker che valutino l’efficacia del trattamento nel correggere lo sbilanciamento immunologico nel paziente affetto da HIV. Nel mio progetto di tesi abbiamo valutato i livelli di espressione delle principali citochine pro-infiammatorie nel sangue di 21 pazienti sieropositivi dal momento della diagnosi fino al termine del primo anno di trattamento con HAART. Il nostro interesse si è focalizzato sulle citochine in quanto mediano processi alla base del funzionamento fisiologico del sistema immunitario, della sua attivazione, ma possono favorire anche l’ingresso del virus nelle cellule e l’insorgenza di infezioni opportunistiche. In collaborazione con l’azienda ospedaliera Policlinico di Modena, abbiamo osservato che, dopo 12 mesi di terapia HAART, tutti i pazienti del nostro campione hanno raggiunto un valore di viremia sotto il valore soglia rilevabile dagli strumenti, 5 di loro non hanno avuto un sufficiente recupero del numero di CD4+ e 10 hanno fallito nel ristabilire il corretto rapporto CD4+/CD8+. Per quanto riguarda l’espressione genica dei target da noi valutati, abbiamo osservato un significativo aumento dei livelli di IL1α, IL18, IL18BP e IL18R β small a dodici mesi dall’inizio della terapia rispetto al momento della diagnosi. Inoltre, in base alla misura dei valori di CD4+ e CD4+/CD8+ dopo un anno di trattamento abbiamo diviso la popolazione in base al raggiungimento o meno del valore fisiologico dei CD4+ (˃500), oppure al ristabilimento del corretto rapporto CD4+/CD8+ (˃1) e abbiamo confrontato il grado di espressione dei target al momento della diagnosi tra i gruppi. Abbiamo osservato un maggiore livello di espressione basale dei membri del sistema di IL18 nei pazienti nei quali non è stato raggiunto un livello fisiologico dei CD4+ dopo un anno di terapia. I nostri risultati suggeriscono un particolare coinvolgimento del sistema di IL18 nella risposta alla terapia HAART nei pazienti HIV+, infatti il trattamento ha modulato la sua espressione genica durante il periodo da noi considerato, inoltre i suoi componenti potrebbero essere utilizzati in futuro come predictor, ovvero molecole misurate al momento della diagnosi che possano aiutare a prevedere la risposta alla terapia.
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