Riassunto analitico
L'epatite C è una malattia ad eziologia virale causata da un virus della famiglia Flaviviridae, genere Hepacivirus. Questo virus mostra una notevole variabilità genetica e viene infatti classificato in almeno sei genotipi, ciascuno suddiviso in diversi sottotipi. L'infezione da virus dell'epatite C ha una distribuzione ubiquitaria, basti pensare che 130-170 milioni di persone nel mondo sono portatori cronici del virus e circa 700 mila persone ogni anno muoiono a causa delle malattie epatiche correlate all'HCV. In Italia, negli ultimi decenni, si è assistito a una profonda modificazione dell’epidemiologia delle epatiti virali, grazie a diversi fattori. In particolare: le migliorate condizioni igieniche e socio-economiche; la riduzione della dimensione dei nuclei familiari e quindi della circolazione intra-familiare dei virus; una maggiore conoscenza e consapevolezza del rischio di trasmissione, merito di campagne informative sull’HIV (le cui modalità di trasmissione sono comuni all'HCV); l’introduzione di importanti misure di prevenzione, quali lo screening dei donatori di sangue; l’adozione di precauzioni universali in ambito sanitario. In Italia nel 2015 l’incidenza è stata pari a 0,2 per 100.000 abitanti. La diminuzione d'incidenza ha interessato in particolar modo i soggetti d’età compresa fra i 15 e i 24 anni (verosimilmente per cambiamenti comportamentali da parte dei tossicodipendenti), mentre l’età dei nuovi casi è in aumento e già da tre anni, la fascia di età maggiormente colpita risulta essere quella 35-54 anni. Il virus è presente nel sangue dei soggetti infetti e la sua trasmissione può avvenire mediante due modalità: via parenterale apparente, cioè mediante trasfusione di sangue o emoderivati, condivisione di siringhe (durante l’uso di droghe per via endovenosa), nei trapiantati, nei pazienti sottoposti a dialisi e negli operatori sanitari, in seguito a contaminazione con sangue infetto; via parenterale inapparente, quindi trasmissione per via sessuale, dalla madre al feto oppure ai familiari conviventi di soggetti anti-HCV positivi. La spontanea eliminazione del virus si verifica entro sei mesi dall'infezione nel 15-45% dei pazienti, in assenza di trattamenti. Il restante 55-85% dei pazienti ospitano il virus per tutta la loro vita, se non vengono trattati e sono considerati portatori cronici dell'infezione. Le epatiti virali croniche sono caratterizzate dalla persistenza di infiammazione, necrosi epatocitaria e dalla progressiva trasformazione fibrotica del fegato; in particolare le infezioni croniche da HCV, se non vengono trattate, possono causare cirrosi epatica, insufficienza epatica e carcinoma epatocellulare. Nel 15-30% dei casi la malattia progredisce verso quadri di cirrosi, in un arco di tempo di vent'anni o più. L'epatocarcinoma è invece una complicanza che insorge, tranne poche eccezioni, soltanto nei pazienti affetti da cirrosi, con tasso annuale del 2-4%. All'inizio il trattamento dell'epatite C si è basato sulla somministrazione dell'interferone alfa, a cui successivamente è stata associata la ribavirina, che ha portato ad un aumento dei tassi di guarigione. Un notevole miglioramento nella terapia dell'epatite C si è registrato a seguito dell'introduzione di farmaci orali destinati ad inibire il ciclo replicativo del virus. Questi farmaci denominati DAAs, cioè antivirali ad azione diretta, vanno ad agire su tre importanti regioni all'interno del genoma dell'HCV. I DAAs di prima generazione, che sono entrati in commercio sono stati boceprevir e telaprevir i quali venivano somministrati con interferone e ribavirina. I DAAs di seconda generazione sono più sicuri e possono essere utilizzati in combinazione tra loro, ovviando così alla necessità di utilizzare anche interferone e ribavirina.
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