Riassunto analitico
Ampliando in maniera significativa un lavoro e una metodologia di ricerca già sperimentati in fase di realizzazione del lavoro finale di tesi triennale conseguita presso l’Università Bocconi di Milano sotto la guida del prof. Guido Alfani, attraverso la quale è stata indagata la realtà sociale ed economica di Vallelonga, mancando uno studio ed una analisi anche sul catasto onciario di San Nicolò ricadente nel territorio e nella giurisdizione dell’Università di Vallelonga, ho conseguentemente provveduto ad elaborare un lavoro di catalogazione, attraverso l’analisi dei dati del catasto onciario del 1754 e, d’accordo e sotto la guida del Prof. Giancarlo Corsi a fare la relativa ricostruzione storica, economica e sociale, nonché di confronto con la realtà di Vallelonga. Il catasto onciario in oggetto è il risultato della prammatica del 28 settembre del 1740 con cui Bernardo Tanucci, emetteva un dispaccio a firma di Carlo III di Borbone, sovrano del regno di Napoli, che disponeva il censimento degli abitanti e dei loro beni. Sul piano metodologico, così come fatto nella prima schedulazione in formato excel finalizzata alla rilevazione dei dati del catasto onciario di Vallelonga del 1754, anche per San Nicolò ho proceduto attribuendo un numero progressivo a ciascun fuoco catalogando nome, cognome, sesso, stato civile, età, parentela, titolo, mestiere ed eventuale inabilità del capofuoco e di tutti i conviventi. A seguire ho prodotto una seconda schedulazione relativa ai beni urbani e fondiari e di questi ultimi ho rilevato l’estensione (nei casi in cui tale estensione risultava dichiarata). Una parte di questa seconda schedatura è stata dedicata anche alla rilevazione dei dati del patrimonio zootecnico. Alla luce dei dati rilevati si evince che nel 1754 nell’Università di Vallelonga era discretamente costituita sia la micro proprietà fondiaria, di cui erano detentori le varie classi sociali, così come il latifondo di cui erano possessori il feudatario e le classi privilegiate ovvero i civili e gli ecclesiastici. La riforma catastale avviata nel regno borbonico a partire dal 1740 fu in parte fallimentare rispetto alle buone intenzioni programmatiche che prevedevano una maggiore giustizia tributaria. Le classi privilegiate, infatti, continuarono ad essere favorite nel pagamento delle imposte con il consequenziale aggravio su quelle categorie che vivevano del proprio lavoro manuale. Sia i nobili che il clero riuscirono ad escogitare espedienti di vario tipo per riuscire a bilanciare pesi e proventi e inoltre i feudatari, pur possedendo la maggior parte della terra, erano tassati solamente per i beni burgensatici e non per i loro possedimenti così come gli ecclesiastici che non solo erano esenti dal testatico e dall’imposta sull’industria, ma erano esentati dalle tasse se il loro patrimonio aveva una rendita che non superava i 25 ducati. Tale esenzione è segno evidente di mancata equità tributaria soprattutto se si pensa che le donne vedove o le vergini in capillis che fungevano da capofuoco in assenza di figli maschi maggiorenni, erano esentate dal testatico solo se la rendita del loro patrimonio non superava i 6 ducati annui. Il catasto carolino, dunque, pur presentando nelle intenzioni programmatiche la volontà di una più equa distribuzione del carico fiscale al fine di mitigare le disuguaglianze tra le varie classi sociali e pur avendo sancito in linea di principio che anche i beni del clero dovessero essere soggetti a tassazione ( seppur con tutti i limiti che seguirono al concordato), non riuscì concretamente a raggiungere gli obiettivi prefissati e quindi non contribuì alla riduzione delle forti disuguaglianze economiche e sociali esistenti nell’università di Vallelonga e San Nicolò.
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Abstract
Ampliando in maniera significativa un lavoro e una metodologia di ricerca già sperimentati in fase di realizzazione del lavoro finale di tesi triennale conseguita presso l’Università Bocconi di Milano sotto la guida del prof. Guido Alfani, attraverso la quale è stata indagata la realtà sociale ed economica di Vallelonga, mancando uno studio ed una analisi anche sul catasto onciario di San Nicolò ricadente nel territorio e nella giurisdizione dell’Università di Vallelonga, ho conseguentemente provveduto ad elaborare un lavoro di catalogazione, attraverso l’analisi dei dati del catasto onciario del 1754 e, d’accordo e sotto la guida del Prof. Giancarlo Corsi a fare la relativa ricostruzione storica, economica e sociale, nonché di confronto con la realtà di Vallelonga. Il catasto onciario in oggetto è il risultato della prammatica del 28 settembre del 1740 con cui Bernardo Tanucci, emetteva un dispaccio a firma di Carlo III di Borbone, sovrano del regno di Napoli, che disponeva il censimento degli abitanti e dei loro beni. Sul piano metodologico, così come fatto nella prima schedulazione in formato excel finalizzata alla rilevazione dei dati del catasto onciario di Vallelonga del 1754, anche per San Nicolò ho proceduto attribuendo un numero progressivo a ciascun fuoco catalogando nome, cognome, sesso, stato civile, età, parentela, titolo, mestiere ed eventuale inabilità del capofuoco e di tutti i conviventi. A seguire ho prodotto una seconda schedulazione relativa ai beni urbani e fondiari e di questi ultimi ho rilevato l’estensione (nei casi in cui tale estensione risultava dichiarata). Una parte di questa seconda schedatura è stata dedicata anche alla rilevazione dei dati del patrimonio zootecnico. Alla luce dei dati rilevati si evince che nel 1754 nell’Università di Vallelonga era discretamente costituita sia la micro proprietà fondiaria, di cui erano detentori le varie classi sociali, così come il latifondo di cui erano possessori il feudatario e le classi privilegiate ovvero i civili e gli ecclesiastici. La riforma catastale avviata nel regno borbonico a partire dal 1740 fu in parte fallimentare rispetto alle buone intenzioni programmatiche che prevedevano una maggiore giustizia tributaria. Le classi privilegiate, infatti, continuarono ad essere favorite nel pagamento delle imposte con il consequenziale aggravio su quelle categorie che vivevano del proprio lavoro manuale. Sia i nobili che il clero riuscirono ad escogitare espedienti di vario tipo per riuscire a bilanciare pesi e proventi e inoltre i feudatari, pur possedendo la maggior parte della terra, erano tassati solamente per i beni burgensatici e non per i loro possedimenti così come gli ecclesiastici che non solo erano esenti dal testatico e dall’imposta sull’industria, ma erano esentati dalle tasse se il loro patrimonio aveva una rendita che non superava i 25 ducati. Tale esenzione è segno evidente di mancata equità tributaria soprattutto se si pensa che le donne vedove o le vergini in capillis che fungevano da capofuoco in assenza di figli maschi maggiorenni, erano esentate dal testatico solo se la rendita del loro patrimonio non superava i 6 ducati annui. Il catasto carolino, dunque, pur presentando nelle intenzioni programmatiche la volontà di una più equa distribuzione del carico fiscale al fine di mitigare le disuguaglianze tra le varie classi sociali e pur avendo sancito in linea di principio che anche i beni del clero dovessero essere soggetti a tassazione ( seppur con tutti i limiti che seguirono al concordato), non riuscì concretamente a raggiungere gli obiettivi prefissati e quindi non contribuì alla riduzione delle forti disuguaglianze economiche e sociali esistenti nell’università di Vallelonga e San Nicolò.
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