Riassunto analitico
Il diritto all'abitazione non è esplicitamente riconosciuto nell'ordinamento italiano. Tuttavia, è possibile ricavarlo da alcuni disposti costituzionali e annoverarlo tra la categoria dei diritti sociali. In quanto diritto sociale, tale diritto deve essere garantito da parte dell'amministrazione pubblica, da un punto di vista formale e sostanziale, ai sensi dell'art. 3 della Costituzione. Tuttavia, vi sono numerosi casi concreti che dimostrano come vi siano ancora importanti carenze dal punto di vista sostanziale, con riferimento alla qualità dell'abitare. Alcuni di questi casi sono presentati nell'elaborato, in particolare si analizzano le periferie delle città di Bologna, Pescara e Napoli. Successivamente, viene proposta una riflessione teorica sulle motivazioni alla base di scelte urbanistiche che hanno portato all'esclusione sociale e alla marginalizzazione spaziale di soggetti economicamente e socialmente vulnerabili. Nell'ultimo capitolo, infine, viene proposto un tentativo di soluzione a tale esclusione sociale, da realizzarsi mediante l'impiego delle moderne tecnologie e, in generale, degli strumenti propri della c.d. smart city; un esempio virtuoso dell'applicazione delle tecnologie per la risoluzione, anche, di problemi di natura sociale è rappresentato dal caso del progetto MASA implementato a Modena, di cui si offre una breve analisi. La tesi di fondo dell'elaborato parte dall'assunto che il diritto all'abitazione sia un diritto essenziale per lo sviluppo dell'individuo e che questo vada garantito con rispetto al profilo della qualità. Non è sufficiente, poi, disporre di un'abitazione in senso materiale perché possa dirsi garantito il diritto all'abitazione. Un'abitazione fatiscente, relegata ai margini delle città, priva talvolta dei servizi più essenziali - come quelle che si trovano in molte periferie italiane - non corrisponde ai paradigmi di dignità ed eguaglianza che sono alla base di un ordinamento democratico. Occorre scardinare la filosofia politica alla base degli interventi urbanistici finora implementati, quella cioè del decoro e della sicurezza, concetti privi di reale portata concreta e afferenti al solo ambito delle emozioni; concetti, dunque, non in grado di fungere da guida in materia di politiche pubbliche e che conducono al relegamento ai confini delle città di coloro che non rispettano determinati canoni di, appunto, sicurezza e decoro urbano. Ciò che deve muovere le politiche pubbliche, invece, deve essere il tentativo di rimuovere gli ostacoli economico-sociali che impediscono il pieno sviluppo della personalità. Tale rimozione, però, non sarà mai realizzabile finché le categorie destinatarie saranno socialmente e fisicamente escluse dai centri decisionali, ove si svolge la vita pubblica; dall'accesso alle risorse e ai servizi; dall'accesso alle opportunità di istruzione e lavoro, che si trovano nei centri urbani. Partendo dal presupposto che modificare la configurazione urbana delle città non è possibile, ciò che è realizzabile è un completo abbandono della progettazione che distingue nettamente tra centro e periferia e la creazione di un nuovo sistema urbano, che non veda l'area di una città come distinta in due poli, bensì composta di tanti piccoli poli di infrastrutture e servizi, che creino una struttura reticolare in grado di creare collegamenti strategici e accessibili a chiunque. Questo obiettivo è realizzabile attraverso l'impiego delle più moderne tecnologie, rientranti nel vasto campo d'applicazione della cosiddetta smart city: si tratta di un nuovo modo di pensare, di concepire lo spazio urbano, che combina sofisticate tecnologie con il capitale sociale e umano al fine di migliorare la qualità della vita e il benessere di tutti i cittadini. Se tali strumenti verranno costituzionalmente orientati, sarà possibile impiegarli per rimuovere le diseguaglianze e creare quelle città multipolari che rappresentano le città del futuro.
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