Riassunto analitico
La fibromialgia è una patologia non solo reumatica, ad eziopatogenesi ignota, che influisce notevolmente sulla qualità della vita del malato. I sintomi principali sono caratterizzati da dolore cronico diffuso muscoloscheletrico, astenia, alterazioni del sonno, disturbi dell’ umore e della funzione cognitiva. L’ evoluzione nella storia della malattia ha visto la tendenza a classificarla come una patologia su base infiammatoria, fino a quando non è stata riconosciuta come entità nosologica distinta, ovvero una forma di reumatismo extra-articolare (dei tessuti molli) in cui l’ alterata e spropositata elaborazione del dolore è sostenuta da un meccanismo di sensibilizzazione centrale. La mancanza di biomarcatori, evidenziabili tramite esami laboratoristici, ne sottolinea i contorni sfumati. La patologia colpisce circa il 2,7% della popolazione, con un’ incidenza maggiore nel genere femminile tra i 20 e i 50 anni. La componente ereditaria ha fatto maturare l’ ipotesi che la malattia possa essere presente, in forma latente, in soggetti che presentano una predisposizione genetica, per poi conclamarsi in seguito ad eventi ambientali di forte componente stressogena e/o particolari malattie infettive. Tuttavia, la causa della patologia rimane ancora sconosciuta e i meccanismi di patogenesi evidenziano solamente la presenza di un’ infiammazione neurogena dovuta a uno squilibrio di particolari circuiti neuroendocrini che determinano un’ alterata percezione nocicettiva in entrata e il mancato controllo dell’ elaborazione del dolore da parte dei circuiti neurali discendenti, con diverse conseguenze cliniche (come involuzione cerebrale). Questo meccanismo, presente anche in altre patologie di comorbilità, causa nella sindrome fibromialgica un dolore cronico diffuso, rigidità muscolare, facile fatigabilità, fibro-fog (particolari disturbi di tipo neurocognitivo), disturbi del sonno e altri sintomi che originano un circolo disfunzionale che si auto-alimenta. I criteri di diagnosi sono stati classificati dall’ ACR (American College of Rheumatology) e hanno subito negli anni diverse revisioni, ma la versione del 1990 rimane quella alla quale il mondo scientifico fa più fede nella pratica clinica. Oltre alla valutazione algologica mediante la digitopressione dei Tender Points, è stata valutata nel tempo l’ imprescindibile anamnesi clinica e l’ esclusione di altre patologie (da parte dello specialista reumatologo) , al fine di sviluppare una corretta analisi differenziale per questa patologia. La terapia farmacologica ha visto l’ impiego e lo studio, durante gli anni, di farmaci come antidepressivi triciclici, SSRIs, SNRIs, I-MAO, FANS, Antiepilettici, Sedativo/Ipnotici, oppioidi, miorilassanti e cortisonici. I più utilizzati rimangono oggi la Duloxetina, il Milnacipran e il Pregabalin. Le strategie terapeutiche sono volte al controllo dei sintomi dolorosi, in acuto, mediante farmaci analgesici e, in cronico, mediante farmaci deputati al potenziamento dei neurotrasmettitori incaricati al controllo del dolore. L’ approccio prettamente farmacologico si è dimostrato limitativo e di scarsa compliance a causa degli effetti collaterali del farmaco, anche se indispensabile in certi casi clinici. Pertanto, la considerazione di un approccio multimodale improntato sull’ esercizio fisico, sulle terapie non farmacologiche di vario genere e sulla comprensione ed educazione del paziente alla malattia, (seguendo il principio cardine della self-efficacy) è risultato il vero punto di svolta della terapia. In questo campo multidisciplinare trovano importanza anche le piante e la fitoterapia in generale. Ciò che è ritenuto utile e di sostegno ad una terapia multimodale sono piante come Griffonia simplicifolia, Hypericum perforatum, Ginkgo biloba e un fungo dalle innumerevoli proprietà, il Ganoderma lucidum. Il farmacista può rientrare in questa visione d' insieme.
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