Riassunto analitico
I conodonti sono organismi comparsi nel Cambriano ed estinti alla fine del Triassico di cui si conservano a livello fossile solo delle piccole strutture morfologicamente simili a denti essenzialmente composte da una carbonatofluoroapatite. Si differenziano i paraconodonti, con struttura più sottile, diffusi nel Cambriano, dagli euconodonti, comparsi successivamente, che presentano un’organizzazione più complessa. Grazie alla loro ampia diffusione geografica e rapida evoluzione, i conodonti costituiscono insostituibili marker biostratigrafici. Di uguale importanza è il ruolo che essi rivestono come archivio di segnali geochimici per l’interpretazione di ambienti del passato. La loro natura fosfatica li rende, infatti, più attendibili di fossili calcarei per caratterizzazioni di natura isotopica. Un recente studio compiuto su una fauna a conodonti dell’Ordoviciano Superiore della Normandia (Francia), oggetto del mio lavoro di tesi triennale, ha però dimostrato come neo-cristalli accresciutisi per diagenesi sulla superficie dei conodonti presentino le stesse caratteristiche chimiche (elementi maggiori) e strutturali dei fossili apatitici originari. Questa “omogeneizzazione” fra neo-cristallizzazioni e apatite originaria, potrebbe mettere in dubbio le potenzialità dei conodonti quali marker cristallochimici. Per inquadrare meglio questa potenziale criticità, è stata approntata una nuova ricerca, oggetto della mia tesi magistrale, che, sempre integrando un approccio paleontologico ad uno mineralogico/cristallografico, estende l’analisi ad associazioni di conodonti di altre regioni geografiche e di altre età, in modo da verificare se e in quale modo le informazioni originarie contenute nelle apatiti del conodonte siano state modificate dai processi di fossilizzazione e diagenesi. Per raggiungere questo obiettivo sono stati selezionati conodonti dell’Ordoviciano Superiore provenienti da Francia, Italia, Gran Bretagna, appartenenti a diversi paleocontinenti (Gondwana ed Avalonia). Successivamente, sono stati analizzati esemplari di altre età (Cambriano, Siluriano, Devoniano, Carbonifero e Triassico) così da verificare eventuali variazioni nel tempo dei parametri considerati per il confronto. La scelta degli elementi da analizzare è stata improntata in modo da documentare intervalli di colorazioni (Color Alteration Index variabile fra 1.5 e 5, corrispondente a un’esposizione a temperature di seppellimento variabili da 100 a 400° C) quanto più ampi possibile. Gli altri fossili apatitici ricavati dagli stessi residui (brachiopodi, ostracodi, briozoi e denti di pesce) sono stati analogamente analizzati per ottenere un’informazione completa relativa all’apatite di quei campioni. La composizione chimica degli elementi maggiori non sembra subire sostanziali variazioni; di contro sono state rilevate significative differenze nella concentrazione di alcuni elementi in traccia che differiscono notevolmente tra i vari taxa (anche coevi). Dal punto di vista più “strutturale” sono risultate particolarmente significativi i confronti tra paraconodonti ed euconodonti. Più in dettaglio è stata osservata una significativa differenza tra i parametri di cella a e c calcolati, mediante interpretazione di misure micro-diffrattometiche, per euconodonti e paraconodonti con l’identificazione di campi ben distinti e valori notevolmente più bassi di a per i paraconodonti (e più alti di c). Anche i parametri di cella degli altri fossili fosfatici sembrano rientrare all’interno di specifici range, pur mantenendo un’analoga composizione chimica. Questo aspetto potrebbe rivestire particolare importanza non solo per l’interpretazione biologica dei conodonti stessi, ma anche per la loro localizzazione all’interno dei vertebrati, ad oggi ancora incerta.
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