Riassunto analitico
L’ipossiemia è una condizione frequente nei pazienti ospedalizzati e può essere causata da diverse patologie non solo di origine respiratoria. In questa prospettiva, la supplementazione di ossigeno nella miscela di gas inspirati è comunemente usata come prima scelta nel supporto e trattamento nei casi di ipossia assoluta o relativa. I pazienti critici rappresentano una particolare popolazione tra i pazienti ospedalizzati, nei quali le comorbidità di base sono associate a svariate condizioni cliniche che pongono a rischio di vita, risultando così in un quadro clinico di alta complessità. Data la severità delle condizioni cliniche sembrano essere particolarmente vulnerabili all’ipossia e debito di ossigeno. Qualche studio osservazionale ha mostrato che in questa classe di pazienti spesso vengono somministrate alte quantità di ossigeno come supplemento, esponendo il paziente a periodi prolungati di livelli oltre la norma di ossigenazione ematica, definita iperossia. Oltre a ciò, è importante sottolineare che l’esposizione a miscele arricchite in ossigeno è largamente riconosciuto come potenzialmente pericoloso e causa di danno in diversi organi e apparati. Per queste ragioni, l’ossigeno dovrebbe essere considerato un farmaco a tutti gli effetti, con una finestra terapeutica limitata, che rende importante considerare diversi fattori in modo da fornire al paziente il dosaggio appropriato a supporto delle funzioni vitali, ma anche evitare gli effetti dannosi del sovradosaggio. Nonostante le numerose evidenze riguardo al potenziale danno causato dall’iperossia, sia le indicazioni cliniche presenti nelle Linee Guida e la condotta dei clinici promuove una pronta somministrazione di una terapia ad alti flussi e concentrazioni di ossigeno, specialmente nei pronto soccorsi e nelle terapie intensive, restando più attenti agli effetti deleteri dell’ipossia, piuttosto che dell’iperossia. Uno studio randomizzato controllato pubblicato su JAMA nel 2016 dal professor Girardis ha mostrato come una somministrazione di ossigeno conservativa rispetto al trattamento convenzionale in pazienti ricoverati in terapia intensiva con una degenza stimata superiore alle 72 ore, abbia portato ad una riduzione della mortalità in terapia intensiva, accompagnato da una riduzione del numero di shock, batteriemia e insufficienza epatica. Tuttavia, questo studio è stato prematuramente terminato per il basso tasso di arruolamento, includendo un numero finale di 434 pazienti, quando ne erano stati pianificati 660 per ottenere l'effetto ricercato. In questo lavoro verrà illustrata una analisi post-hoc di questi dati, svolta partendo dal database originario e sviluppando l'analisi statistica con il software SPSS. L'analisi si focalizza sulle popolazioni con valori di ossigenazione estremi, valutate attraverso i parametri PaO2 ed FiO2. Da questo è derivata la selezione dei sottogruppi di comparazione, avvenuta suddividendo i valori di FiO2 e PaO2 in quartili e selezionando e comparando il primo e quarto quartile dei diversi parametri con diverse combinazioni. Per i valori bassi è stato considerato primo quartile, per i valori alti il quarto quartile sia per la PaO2 che per la FiO2. L’obbiettivo di questo elaborato di tesi è quello di verificare se, in questa correlazione, la maggiore determinante di mortalità e danno d’organo sia l’iperossia a livello ematico (PaO2), o l’iperossia a livello del polmone (FiO2). Per verificare questo è stata svolta una sottoanalisi dei dati raccolti nel database dello studio Oxygen-ICU, e in modo particolare analizzando una popolazione composta dai quartili estremi della distribuzione di PaO2 e FiO2.
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Abstract
L’ipossiemia è una condizione frequente nei pazienti ospedalizzati e può essere causata da diverse patologie non solo di origine respiratoria. In questa prospettiva, la supplementazione di ossigeno nella miscela di gas inspirati è comunemente usata come prima scelta nel supporto e trattamento nei casi di ipossia assoluta o relativa.
I pazienti critici rappresentano una particolare popolazione tra i pazienti ospedalizzati, nei quali le comorbidità di base sono associate a svariate condizioni cliniche che pongono a rischio di vita, risultando così in un quadro clinico di alta complessità.
Data la severità delle condizioni cliniche sembrano essere particolarmente vulnerabili all’ipossia e debito di ossigeno. Qualche studio osservazionale ha mostrato che in questa classe di pazienti spesso vengono somministrate alte quantità di ossigeno come supplemento, esponendo il paziente a periodi prolungati di livelli oltre la norma di ossigenazione ematica, definita iperossia. Oltre a ciò, è importante sottolineare che l’esposizione a miscele arricchite in ossigeno è largamente riconosciuto come potenzialmente pericoloso e causa di danno in diversi organi e apparati. Per queste ragioni, l’ossigeno dovrebbe essere considerato un farmaco a tutti gli effetti, con una finestra terapeutica limitata, che rende importante considerare diversi fattori in modo da fornire al paziente il dosaggio appropriato a supporto delle funzioni vitali, ma anche evitare gli effetti dannosi del sovradosaggio. Nonostante le numerose evidenze riguardo al potenziale danno causato dall’iperossia, sia le indicazioni cliniche presenti nelle Linee Guida e la condotta dei clinici promuove una pronta somministrazione di una terapia ad alti flussi e concentrazioni di ossigeno, specialmente nei pronto soccorsi e nelle terapie intensive, restando più attenti agli effetti deleteri dell’ipossia, piuttosto che dell’iperossia. Uno studio randomizzato controllato pubblicato su JAMA nel 2016 dal professor Girardis ha mostrato come una somministrazione di ossigeno conservativa rispetto al trattamento convenzionale in pazienti ricoverati in terapia intensiva con una degenza stimata superiore alle 72 ore, abbia portato ad una riduzione della mortalità in terapia intensiva, accompagnato da una riduzione del numero di shock, batteriemia e insufficienza epatica. Tuttavia, questo studio è stato prematuramente terminato per il basso tasso di arruolamento, includendo un numero finale di 434 pazienti, quando ne erano stati pianificati 660 per ottenere l'effetto ricercato. In questo lavoro verrà illustrata una analisi post-hoc di questi dati, svolta partendo dal database originario e sviluppando l'analisi statistica con il software SPSS. L'analisi si focalizza sulle popolazioni con valori di ossigenazione estremi, valutate attraverso i parametri PaO2 ed FiO2. Da questo è derivata la selezione dei sottogruppi di comparazione, avvenuta suddividendo i valori di FiO2 e PaO2 in quartili e selezionando e comparando il primo e quarto quartile dei diversi parametri con diverse combinazioni. Per i valori bassi è stato considerato primo quartile, per i valori alti il quarto quartile sia per la PaO2 che per la FiO2. L’obbiettivo di questo elaborato di tesi è quello di verificare se, in questa correlazione, la maggiore determinante di mortalità e danno d’organo sia l’iperossia a livello ematico (PaO2), o l’iperossia a livello del polmone (FiO2). Per verificare questo è stata svolta una sottoanalisi dei dati raccolti nel database dello studio Oxygen-ICU, e in modo particolare analizzando una popolazione composta dai quartili estremi della distribuzione di PaO2 e FiO2.
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