Riassunto analitico
Il presente elaborato si propone di analizzare una tematica di grande attualità ovvero quella del salario minimo in ambito italiano ed europeo. In primo luogo, ci si è concentrati sull’esperienza che ha avuto l’Italia in tema di salario minimo, e, in particolare, per comprendere la reale applicazione dell’articolo 36 della Costituzione ci si è chiesti se la retribuzione italiana rispetti i principi di proporzionalità e sufficienza e sia in grado di assicurare ai cittadini e alla loro famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Si è poi posto lo sguardo sullo stretto rapporto tra l'art. 36 Cost. e l'art. 39 Cost. e di come la giurisprudenza abbia provato a supplire, senza però un risultato davvero soddisfacente, alla mancata attuazione del quarto comma dell’art. 39 Cost. utilizzando le tariffe minime previste dai CCNL. Inoltre, si sono analizzati alcuni interventi, in tema di salario minimo, che il legislatore italiano ha riservato a determinate categorie di soggetti più deboli a livello sindacale (quali il lavoratore a progetto, il lavoratore dipendente da impresa stabilita in altro Paese UE, il socio-lavoratore, il giornalista non subordinato ed il lavoratore occasionale); concludendo, infine, con un approfondimento sul tentativo fallito del Jobs Act di istituire un salario minimo legale di cui si sono evidenziate le criticità. Successivamente, in una visione comparata, l’elaborato ha approfondito tre modelli di ordinamento europei che nel tempo hanno dato un grande contributo sul tema del salario minimo legale ovvero quelli di Germania, Francia e Regno Unito. In particolare, si è osservato come in Germania esista un salario minimo legale unico applicabile a tutti i settori dal 2014; in Francia esista un salario minimo orario applicabile a prescindere dal ruolo del lavoratore e dalla sua anzianità; mentre, nel Regno Unito esistano quattro categorie di lavoratori, differenziate per età, a cui si applicano retribuzioni differenti. In conclusione, ci si è concentrati su un recente intervento emerso nell’ambito dell’Unione europea, la direttiva UE n. 2022/2041 del 19 ottobre 2022, che per la prima volta ha cercato di fornire una regolamentazione a tutti gli Stati membri dell’Unione europea al fine di garantire l’adeguatezza dei salari, il conseguimento di un tenore di vita dignitoso e la riduzione della povertà lavorativa, pur sempre, però, in un’ottica di salvaguardia dell’autonomia delle parti sociali, nonché del loro diritto a negoziare e concludere contratti collettivi. Infatti, la direttiva prevede un quadro di regole, volte al contempo, a promuovere la contrattazione collettiva sulla determinazione del salario minimo ed a garantire l’adeguatezza dei salari minimi legali ove previsti. Infine, si è osservato il possibile impatto che tale direttiva potrebbe avere nel contesto italiano in considerazione del fatto che, in primo luogo, la stessa prevede maggiori obblighi per quegli Stati ove il salario minimo viene fissato dalla legge e, in secondo luogo, il salario minimo in Italia viene determinato dalla contrattazione collettiva, la cui copertura risulta molto elevata.
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