Riassunto analitico
La prognosi di un dente naturale, nonostante questo sia compromesso da affezioni parodontale o endodontiche è considerata maggiore rispetto al sostituto implantare (Giannobile and Lang 2016). D’altra parte vi sono situazioni in cui l’estrazione dell’elemento compromesso risulta mandatoria; in questi casi una delle opzioni di trattamento è l’autotrapianto dentale. L’autotrapianto consiste nell’estrazione e nel riposizionamento di un dente in una sede differente nella bocca dello stesso paziente. Tale tecnica è in grado di offrire numerosi vantaggi legati alla conservazione del legamento parodontale: viene mantenuta la funzione propriocettiva, è preservato il volume dell’osso alveolare, non sono compromessi lo sviluppo dento-facciale e la crescita dei mascellari ed è possibile procedere ai trattamenti ortodontici (Leffingwell 1980; J O Andreasen, Paulsen, Yu, Bayer, et al. 1990). Nel caso di dente donatore con uno sviluppo radicolare non completo, è possibile la preservazione della vitalità pulpare e la continuazione dello sviluppo radicolare. I casi in cui la tecnica risulta particolarmente indicata sono i primi molari compromessi, o i secondi molari compromessi dal punto di vista restaurativo o endodontico, nei pazienti giovani, evenienza in cui risulta particolarmente idoneo l’autotrapianto del terzo molare. L’autotrapianto dei premolari nelle regioni frontali, invece, è una procedura in uso sin dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso nei paesi scandinavi, e che risulta particolarmente utile in caso di traumi. L’autotrapianto può anche trovare indicazione nel caso di canini ectopici (Cohen, Shen, and Pogrel 1995). Il successo di un autotrapianto dipende dalla vitalità del legamento parodontale; con un’appropriata selezione dei casi e una tecnica chirurgica corretta si può ottenere un’alta percentuale di esito positivo e di sopravvivenza. Uno studio prospettico di Mejare et al. riportò una sopravvivenza dell’81,4% a quattro anni (Mejàre, Wannfors, and Jansson 2004), mentre altri studi hanno riportato percentuali di sopravvivenza dal 71 al 95% fino a dieci anni di follow-up. Le percentuali di successo e di sopravvivenza riportate sono simili a quelle degli impianti (Sugai et al. 2010; J O Andreasen, Paulsen, Yu, Ahlquist, et al. 1990) Tuttavia, non sono reperibili dati in letteratura riguardanti il livello di soddisfazione del paziente sottoposto ad autotrapianto, diversamente da quanto accade per il paziente sottoposto a terapia mediante impianti osteointegrati. Nel tentativo di colmare questa lacuna, il presente lavoro intende analizzare il grado di soddisfazione soggettivo di un gruppo di pazienti autotrapiantati, confrontato con un gruppo controllo costituito da pazienti che, condividendo la medesima situazione clinica di monoedentulia, sono stati trattati con impianto. Ciò è ancor più importante alla luce dell’attuale orientamento che tende ad affiancare alla Evidence Based Dentistry anche un approccio di cure centrate sulle esigenze del paziente (Patent Centered Care).
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