Riassunto analitico
Oggi, nella primavera 2015, l’economia statunitense “si sta riprendendo dalla recessione” ed è “ben posizionata per una crescita continua”, secondo quanto recentemente affermato dal Presidente della FED. Da questa parte dell’Atlantico la crisi invece non è alle spalle. L’inflazione è ai minimi storici dalla nascita della moneta unica; alcuni paesi dell’Unione sono ancora in recessione e gli altri crescono a ritmi lenti; nel suo complesso il prodotto interno lordo rimane inferiore rispetto al livello del 2007 e il tasso di disoccupazione è il doppio di quello americano. Il documento ricostruisce attentamente i frameworks istituzionali e operativi di FED e BCE e, in dettaglio, gli strumenti convenzionali e innovativi di politica monetaria adottati dalle due principali banche centrali del mondo avanzato dall’avvio delle tensioni sui mercati finanziari. Evidenzia come la scelta dei secondi sia stata influenzata dai primi. Dall’analisi di queste scelte, della tempistica, del loro svolgersi, dell’efficacia sulle variabili economiche, considerando le dichiarazioni dei protagonisti, si mostrerà in particolare che le migliori condizioni dell’economia americana di oggi, sono, almeno in parte, da attribuire ad un approccio più determinato della banca centrale statunitense alla crisi, favorito dal contesto istituzional-finanziario nordamericano che offre una maggiore flessibilità all’azione di politica monetaria.La BCE ha mantenuto in sottofondo anche nel periodo di crisi quell’approccio di politica monetaria “conservativo” osservato nei primi anni della sua vita. I suoi interventi sui tassi di interesse sono parsi cauti, quelli nel mercato dei titoli pubblici deboli, quelli “delegati” al sistema bancario, alla fine, non sufficienti per ridare fiducia ai mercati, quelli in aiuto di Stati in difficoltà sottoposti a forti condizionalità fiscali che hanno indebolito la già debole leva fiscale di questi paesi, in un contesto di disgregazione finanziaria dell’area che essa stessa aveva contribuito ad alimentare con la mancanza di un suo sostegno forte a favore di un salvataggio pubblico europeo nell’occasione dell’insolvenza di alcuni paesi periferici minori ed in presenza di una politica fiscale più restrittiva rispetto ad altre economie avanzate, dovuta anche ai vincoli posti alla sua azione. Il più elevato grado di indipendenza politica della BCE (secondo alcuni economisti la “banca centrale più indipendente al mondo”) sembra aver frenato invece che favorito l'azione della nostra banca centrale rispetto a quella della banca centrale americana la cui politica monetaria potrebbe essere stata influenzata dai più ampi indirizzi di politica economica del governo nel periodo di crisi. Alla BCE è soprattutto mancato, fino ad oggi, quel cambio di passo per uscire dall’approccio monetarista e dal suo rigido focus sulla stabilità dei prezzi e sostenere la domanda interna - la vera chiave di volta di un qualsiasi progetto strutturale di uscita dalla crisi. Azione che deve accompagnarsi a politiche fiscali espansive. Così il recente atteso lancio di un “programma di acquisto di attività del settore pubblico” indicato come “QE” (“quantitative easing”) europeo, permanendo le attuali restrittive politiche di bilancio, ancora potrebbe non bastare a riportare una crescita stabile nelle economie dell’Eurozona.
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