Riassunto analitico
Sfogliando le pagine di studi e riviste letterarie inerenti al teatro spagnolo degli anni Venti e Trenta del Novecento, figura spesso accanto al nome dell’illustre poeta e drammaturgo Ramón del Valle-Inclán quello di Federico García Lorca, accomunati entrambi dall’esigenza di esprimere attraverso il teatro i contrasti laceranti e insolubili dell’essere umano, attingendo sia all’innovazione portata dal teatro europeo, che al retaggio della tradizione. In una Spagna che attraversava una crisi di autori e modelli interpretativi, Lorca si servì del teatro per misurarsi direttamente con lo spettatore ed esprimere le inquietudini e preoccupazioni che caratterizzavano quegli anni convulsi. Un teatro umano, dunque, che senza cedere alla tentazione delle convenienze economiche, si proponeva di plasmare una platea adeguata, rinnovandone i gusti e le aspettative. In particolare, con la presente ricerca, si è voluto dare ampio spazio alla ricezione del teatro di Federico García Lorca in Italia, mettendo in luce i complessi meccanismi che hanno portato in un primo tempo a censurare larga parte della sua opera, a seguito del tragico assassinio avvenuto per mano delle forze nazionaliste in Spagna, agli esordi della Guerra Civile, per poi essere convertito negli anni che seguirono la fine del conflitto mondiale, in una sorta di mito/leggenda per le risonanze storico-politiche che ancora suscitava la sua prematura scomparsa. Si è visto, tuttavia, come la sacralizzazione della figura di García Lorca attuata in Italia, non giovò alla corretta diffusione e ricezione della sua opera, in quanto opacità di carattere folcoristico e militante ne condizionarono a lungo la fortuna scenica e letteraria. Ciononostante, la divulgazione dell’opera di Lorca in Italia fu notevole grazie all’intervento di personalità e figure di spicco quali Ezio Levi, Silvio d’Amico, Carlo Bo, Oreste Macrí e Vittorio Bodini. Se Levi e d’Amico contribuirono a diffonderne il nome ancor prima della sua prematura scomparsa, grazie all’interesse suscitato negli anni Trenta per la rivoluzionaria attività di animatore e regista della Barraca, “il carro di Tespi degli studenti spagnoli”, Bo, Macrí e Bodini si cimentarono nella traduzione di larga parte della sua opera, facendola conoscere in questo modo al grande pubblico. Passando, poi, in rassegna le maggiori pièce teatrali, si è scelto, in questa ricerca, di prendere in esame un testo specifico, per il tangibile cambio di tono e di registro rilevabile rispetto alla produzione precedente, ovvero La casa de Bernarda Alba. Scritta poco prima di essere brutalmente assassinato, come attesta la data apposta sul manoscritto, 19 giugno 1936, la pièce è stata considerata da molti critici il culmine del percorso intrapreso da Lorca come drammaturgo, anche se difficilmente, com’è stato più volte sostenuto in diversi studi, l’opera in questione può definirsi un reale punto d’approdo. Sebbene nel sottotitolo si legga “Drama de mujeres en los pueblos de España”, ne La casa de Bernarda Alba García Lorca affronta tematiche di portata universale quali la libertà sessuale, la frustrazione amorosa, l’impossibilità di seguire i propri ideali, la potenza della natura e l’ossessione della morte. Definita dal cattedratico dell’Università di Pisa, Enrico Di Pastena, come “una poesia che prescinde dal verso, attinge a modelli realisti e risiede entro un orizzonte esclusivamente umano”, non è una coincidenza il fatto che La casa de Bernarda Alba sia tuttora l’opera lorchiana più rappresentata in Italia.
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