Riassunto analitico
La nozione di «Stato sicuro» si è affermata nella prassi degli Stati membri dell’Unione europea come effetto dell’obbligo derivante dal principio di non-refoulement, enunciato per la prima volta nella Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati. Tale principio sancisce il divieto di allontanamento verso Stati in cui l’individuo rischi di subire persecuzioni. Poiché tale principio pone allo Stato una facoltà, e non un obbligo, di concedere protezione internazionale, il ricorso al concetto di Stato sicuro è rapidamente risultato funzionale all’attuazione di politiche statali in materia di asilo che tendono a trasferire ad altri Stati l’onere di protezione del richiedente asilo (c.d. protection elsewhere policies). A livello internazionale, l’identificazione di parametri comuni sulla base dei quali si possa qualificare uno Stato come sicuro costituisce un punto controverso. Il fallimento del tentativo di determinare una unica lista di Stati sicuri per tutti gli Stati membri dell’Unione europea rappresenta forse la prova più evidente della mancanza di criteri comuni nella definizione della sicurezza di uno Stato. Oltre al profilo definitorio, l’aspetto problematico più rilevante riguarda il rischio che procedure di allontanamento verso uno Stato sicuro non siano pienamente rispettose del diritto di asilo garantito dalla Carta dei diritti fondamentali e dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Il problema si pone innanzitutto con riguardo all’allontanamento verso Stati non membri dell’Unione europea. Particolarmente controversi appaiono, a tal riguardo, alcuni meccanismi di determinazione a priori quali, il sistema delle liste di Stati sicuri e il recente Accordo UE-Turchia, i quali si fondano su una presunzione assoluta di sicurezza dello Stato di destinazione. Oltre a permeare la dimensione esterna della politica europea in materia di asilo, la nozione di Stato sicuro trova applicazione anche nella dimensione interna. La presunzione assoluta di sicurezza degli Stati membri dell’Unione europea sottende infatti il meccanismo di trasferimento di richiedenti asilo verso gli Stati ai quali spetta l’analisi delle domande di asilo (c.d. trasferimenti Dublino). Tuttavia, la determinazione a priori della sicurezza di detti Stati ha finito per mettere in discussione l’utilizzo stesso di tale concetto, specie alla luce del persistente divario tra la teoria di un sistema d’asilo europeo, che punta a una procedura unica di riconoscimento dell’asilo, e la stridente realtà con standard procedurali piuttosto divergenti tra gli Stati. L’ipotesi di lavoro è che nella prassi degli Stati membri dell’Unione europea il ricorso al concetto di Stato sicuro, più che riflettere l’esigenza di tutela dell’individuo, tenda a rispondere a una mera esigenza di efficienza del sistema di ripartizione degli oneri statali in materia di asilo, finendo per essere associato a pratiche che si caratterizzano talora per un abbassamento del livello di protezione assicurato all’individuo. Lo scopo ultimo della ricerca è duplice: individuare quali standard di trattamento contribuiscano a raggiungere un livello di protezione effettiva nello Stato di destinazione e stabilire in quale misura il concetto di sicurezza, anche a seguito di recenti pronunce giurisdizionali nazionali e sovranazionali, rifletta il concetto di protezione effettiva. La tesi dottorale è strutturata in due parti: la prima, tesa a fornire un quadro normativo del ricorso al concetto dello Stato sicuro, esplora l’origine di tale nozione e i criteri alla presenza dei quali uno Stato possa definirsi sicuro. La seconda parte è dedicata ad alcuni meccanismi basati sulla determinazione a priori di Stati sicuri, inquadrati rispettivamente nella dimensione esterna e interna del sistema europeo comune di asilo.
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Abstract
This research intends to lay out salient aspects relating to the concept of «Safe Country» on which EU member States rely when they transfer asylum seekers towards countries considered “safe”.
Since no international legal instrument offers a specific definition of safe country, this concept indirectly derived from the principle of non-refoulement, firstly contained in the 1951 Geneva Convention relating to the status of refugees, imposing on States an obligation not to push back, transfer or expel refugees towards territories where they risk persecution. As the aforementioned principle does not oblige States to accord international protection to refugees, many receiving States started relying on the safe country concept in order to transfer asylum seekers towards third countries. As a result, with the reliance to mechanisms that presume the safety of destination countries (e.g. lists of Safe countries, and the recent EU-Turkey Readmission Agreement), the safe country notion turned into an instrument to deflect asylum seekers elsewhere.
One of the preliminary aspect on which this research is focused it is the identification of safety criteria, taking into account three different legal systems: the 1951 Geneva Convention related to the status of refugees, the European Convention of Human Rights, and the Common European Asylum System (CEAS). In this regard, one of the most controversial issue is the lack of common safety criteria among EU member States: an evident example is the failed attempt to create a common European list of safe countries and the proliferation of divergent safe country notions at national level.
Furthermore, relying on a protection elsewhere policy does not exonerate the sending State to proceed with a precise assessment on the safety of the State of destination; still, each transfer should be in accordance with international legal standards. Thus, particular attention will be devoted to those mechanisms based on an a priori assumption of the safety of destination countries in the framework of the external dimension of CEAS, questioning if these practices are human rights compliant.
This research will also concentrate on the application of the safe country concept within CEAS’s internal dimension. Indeed, the 1990 Dublin Convention and its replicating Dublin regulations, allocating responsibility for determining asylum claims, laid their foundation on the absolute presumption that all EU member States were safe countries. Nevertheless, the absolute presumption of an equivalent level of protection among EU member States, on which Dublin transfers were based, was rebutted by both the ECJ and the ECtHR, in light of the highly divergent asylum national practices among States. As a result, the safe country notion was turned into an evolving concept whose criteria continued to be identified case by case by courts.
The premise of this work is that the reliance of the safe country notion reflects the need of an efficient asylum system, rather than individual protection’s needs. The final objective is to monitor the impact of the reliance to safe country concepts on the international protection of refugees and asylum seekers, given that safe country mechanisms might favor practices characterized by a fewer level of protection for individuals.
The thesis is divided in two parts: the first, aiming at legally framing the use of the safe country notion, will explore the origin of this concept and the criteria according to which a State can be defined safe. The second part will be devoted to some mechanisms based on the a priori determination of safe countries, inserted respectively in the external and internal dimension of the Common European Asylum System.
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