Riassunto analitico
Una tra le riforme più significative poste in essere dal legislatore degli ultimi anni è stata quella che ha visto come protagonista l’istituto della messa alla prova e, successivamente, la sua introduzione nel sistema processuale penale ordinario come istituto previsto per l’imputato adulto. Tale misura consente al giudice procedente di sospendere l’iter processuale garantendo al minore autore di reato un trattamento personalizzato, finalizzato al suo recupero, al reinserimento nel contesto sociale e alla rapida uscita dal circuito penale. Tuttavia, tale disciplina, è nata esclusivamente per il rito minorile. Ed è stato grazie all’emanazione del nuovo corpus normativo d.P.R. n. 448/88 che la messa alla prova ha preso concretezza. La misura in esame, proprio in ragione del fatto che trova destinatari così diversificati tra di loro – nonostante alcune affinità che li accomunano – cela caratteristiche differenziate che, ancora prima di entrare nello specifico della disciplina, attengono in prima battuta alla ratio dell’istituto. Da tale presupposto, è sorta l’idea di suddividere l’elaborato in diverse parti: una prima parte, dedicata alle fonti sovranazionali e nazionali che sono alla base del rito minorile, analizzando nel corso d’opera i connotati principali di tale giustizia specializzata per poi giungere alla definizione delle strategie di diversion e probation (tra cui rientra, appunto, la messa alla prova); una seconda parte, comprendente del secondo e terzo capitolo relativa agli aspetti sostanziali e procedimentali della misura; e, infine, una terza ed ultima sezione riservata ad alcuni elementi che caratterizzano il nuovo istituto applicato nei confronti degli imputati adulti, mettendo in luce le analogie e le differenze che intercorrono tra la messa alla prova minorile e quella prevista per i maggiorenni . Il capitolo introduttivo ruota attorno alle fonti che fanno da sfondo alla giustizia minorile e ai principi cardine che dominano quest’ultima. Difatti, la messa alla prova, disciplinata dagli artt. 28 e 29 d.P.R. 448/88 e dall’art. 27 D.lgs. n. 272/89, trova il proprio fondamento sia in alcune fonti sovranazionali – come la C.E.D.U., le Regole di Pechino, la Convenzione di New York e la Direttiva 2016/800/UE – che nazionali – come per esempio la Costituzione che prevede la realizzazione di istituti diretti alla rieducazione, protezione e valorizzazione dei giovani, il Regio Decreto-legge per l’istituzione del Tribunale per i minorenni e il d.P.R. n. 448/88. Successivamente, entrando nel merito della disciplina dell’istituto preso in esame, maggiore riguardo è rivolto alla specificazione e all’individualizzazione dei presupposti applicativi – soggettivi e oggetti – e, in un fase successiva, all’iter procedurale stesso, con particolare attenzione ad alcune problematiche, tra le quali emergono, esclusivamente a titolo esemplificativo, quelle attinenti alla rilevanza del consenso del minorenne, all’accertamento della sua responsabilità penale in ordine al fatto commesso e alla tipologia di reati per cui è applicabile la misura. Il successo dell’istituto in materia di giustizia minorile ha consentito che nel tempo si allargasse l’orizzonte di applicazione della misura prendendo in considerazione anche gli imputati adulti.
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