Riassunto analitico
La riforma della dirigenza pubblica rappresenta, ad oggi, un processo incompiuto, anche a causa delle ricorrenti tensioni che contraddistinguono il rapporto tra politica e burocrazia. Ciò nonostante, rimane ferma la convinzione che un intervento in materia costituisca uno degli strumenti principali allo scopo di riformare le amministrazioni pubbliche, creando un giusto bilanciamento tra democrazia, autonomia, imparzialità e professionalità, garantendo così le condizioni per lo sviluppo economico e sociale del Paese e allo stesso tempo per migliorare e semplificare la vita del cittadino.Il primo capitolo indaga il ruolo della dirigenza pubblica e, in particolar modo, le aspettative che nel corso del tempo sono state nutrite nei confronti dello stesso: prendendo le mosse dal “mito” rappresentato dal modello weberiano di amministrazione pubblica, che concilia la piena responsabilità ministeriale con la neutralità dell’amministrazione e che non è stato attuato nella prassi, per arrivare a quella che può essere definita come “managerializzazione” della dirigenza pubblica, attraverso l’adozione, da parte delle amministrazioni pubbliche, del modello dell’impresa privata come riferimento per la loro organizzazione e il loro funzionamento, nell’applicazione di tre paradigmi fondamentali: economicità, efficienza ed efficacia.Segue un’analisi del regime giuridico della dirigenza pubblica, scelta in un qualche modo obbligata, ritenendosi che il buon funzionamento della macchina amministrativa dipenda da un buon vertice, e delle principali questioni che la contraddistinguono: a partire dall’accesso alla carriera, che necessita di essere rappresentato da valutazioni di merito professionale per poter garantire l’autonomia e l’indipendenza del dirigente rispetto ad ingerenze della politica e ad eventuali interessi privati esterni; per arrivare alla disciplina dell’incarico dirigenziale, che costituisce uno dei temi maggiormente discussi della riforma del lavoro e dell’organizzazione pubblica, poiché si colloca al centro della relazione tra politica e gestione amministrativa incidendo, quindi, al circuito autonomia/responsabilità che ispira il processo riformatore, e, alla questione relativa allo spoils system e, quindi, al delicato rapporto tra fiducia ed imparzialità; e ancora la tematica legata alla natura giuridica degli atti di conferimento, che rileva allo scopo di stabilire quale sia il regime giuridico applicabile, e quella riguardante le garanzie procedimentali, dalla questione della non applicabilità della legge n. 124 del 1990, all’obbligo di motivazione degli atti di conferimento; e, infine, vive il sistema delle tutele del dirigente.Tuttavia, l’amministrazione pubblica, ad oggi, non può dire di avere acquistato una propria identità. In uno scenario che vede, da un lato, l’esercizio viziato della politica, dall’altro, un’attività dirigenziale in stato di perenne accusa da parte della collettività si inserisce la legge n. 124/2015, che porta il nome del ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione Marianna Madia e che, tra le altre cose, cambia la disciplina dell’attività dirigenziale: creando un sistema unico di dirigenza, con accesso omogeneo e un’unica banca dati, diviso in tre ruoli; unendo i dirigenti in una sola fascia; rompendo gli automatismi, il culto del posto fisso e il rispetto delle aspettative di carriera indipendentemente dal merito.
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