Riassunto analitico
Il rapporto sole-pelle è conflittuale perché, accanto a importanti effetti benefici, sono da considerare anche effetti dannosi legati in particolare alla porzione di spettro solare corrispondente agli ultravioletti di tipo A e B: è noto, infatti, che gli UVC, di estrema nocività, normalmente non raggiungono la superficie terrestre perché schermati dallo strato di ozono. I danni provocati da UVA e UVB possono essere distinti in acuti, quale l’eritema solare e al limite l’ustione solare, le fotosensibilizzazioni e cronici, dovuti all’esposizione continua con scarsa compensazione dell’organismo. Tra questi il fotoinvecchiamento, l’aumentato rischio di tumori cutanei, fotodermatiti e danni oculari. Un cosmetico solare ha l’obiettivo primario di minimizzare, se non annullare, i danni dell’esposizione solare e tuttavia consentire l’attivazione del sistema difensivo della melanogenesi. È da sottolineare che la fotoprotezione topica è riconosciuta a livello mondiale come una delle maggiori strategie di difesa contro scottature e edema, ma soprattutto per prevenire manifestazioni cancerogene.
In questa tesi sono analizzate quantitativamente mediante metodo HPLC due creme solari, un latte ed un’emulsione spray, rispettivamente con SPF 50+ e 50. Sottoponendo i prodotti a invecchiamento termico accelerato (25°C, 5°C, 55°C, Shock Termico) per 90 giorni viene calcolata la variazione di concentrazione dei filtri solari. Inoltre, sono analizzate le stesse formulazioni a più di un anno dalla loro produzione, permettendo di ottenere maggiori dati sulla stabilità dei filtri UV nel tempo e di calcolare i corrispettivi SPF fino a un anno e 7 mesi (per il latte solare) e un anno e 9 mesi (per l’emulsione spray) dalla loro produzione. Successivamente si è deciso di aggiungere alle analisi anche quattro formulazioni base SPF 30 (un latte solare, un’emulsione, un’emulsione spray e un olio). Le concentrazioni ottenute si riferiscono a prodotti realizzati esattamente a un anno di distanza e tenuti a temperatura ambiente. I filtri UV hanno dimostrato di sopportare bene le condizioni di stress a cui sono stati sottoposti. In particolare, dopo 90 giorni di stabilità accelerata il recupero percentuale per la maggior parte dei filtri UV rimane superiore al 94%. I recuperi minori si sono ottenuti nei campioni sottoposti a 55°C. I prodotti analizzati a più di un anno dalla produzione hanno permesso di confermare una protezione adeguata all’SPF indicato in etichetta ad una distanza maggiore di un anno. Lo strumento utilizzato è un HPLC Agilent Technologies 1220 Infinity LC con colonna Zorbax Eclipse XDB-C18 5 µm 4,6 x 250 mm. Per la determinazione e quantificazione dei filtri UV si applica un metodo precedentemente validato presso il laboratorio di Controllo Qualità di Areaderma che prevede una fase mobile formata da 2 fasi: una Fase A composta da una soluzione acquosa di acido acetico a pH 3 ed una Fase B composta da etanolo ed acetonitrile (60:40).
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