Riassunto analitico
Il carcinoma prostatico è una delle neoplasie di maggiore rilevanza nella popolazione maschile. Essa è generalmente considerata curabile, mediante molteplici approcci, quali la resezione chirurgica della ghiandola malata, la radioterapia e la terapia farmacologica. Quest'ultima, trattandosi di una neoplasia androgeno dipendente, è finalizzata a determinare un “blocco androgenico”. Questo è caratterizzato da una vera e propria “castrazione chimica” che determina l’inibizione del metabolismo, della proliferazione e della migrazione delle cellule neoplastiche di origine prostatica e l’azzeramento dei livelli sierici del PSA (Prostate Specific Antigene). Spesso, però, la malattia diventa capace di progredire nonostante il blocco ormonale, diventando dunque resistente alla castrazione. In questa fase della malattia, fino all’anno 2010, l'approccio di prima linea era rappresentato dal Docetaxel (farmaco appartenente alla famiglia dei taxani e dunque inibitore della depolimerizzazione del fuso mitotico). Negli anni successivi, la ricerca clinica ha reso disponibili nuovi agenti antineoplastici attivi anche in questa categoria di pazienti, appartenenti a due grosse famiglie: agenti antiandrogeni di nuova generazione (Abiraterone ed Enzalutamide) e agenti chemioterapici attivi nei pazienti Docetaxel-resistenti (Cabazitaxel). La presente tesi ha lo scopo di verificare e confrontare rispetto a trattamenti di “vecchia generazione” quale sia stato l’impatto di questi nuovi agenti nella pratica clinica (“real life”, quindi al di fuori dei trial clinici ed in pazienti “non selezionati”) nel trattamento di II linea, dopo progressione o recidiva a breve termine dalla terapia con Docetaxel. Per questo studio è stata eseguita una revisione retrospettiva di 156 pazienti provenienti da tre centri oncologici Italiani, tutti aventi una neoplasia prostatica metastatica definita resistente alla castrazione e già trattata con Docetaxel. Questi pazienti sono stati suddivisi in due gruppi in base al trattamento ricevuto: al Gruppo 1 appartengono 80 pazienti trattati con i farmaci “di vecchia generazione”, mentre al Gruppo 2 appartengono 76 pazienti che invece hanno ricevuto almeno uno dei nuovi agenti (Abiraterone, Enzalutamide o Cabazitaxel). Per entrambi i gruppi è stata valutata l'efficacia del trattamento ricevuto in termini di Overall Survival (OS, ovvero il tempo tra l'inizio del Docetaxel e la data di morte o dell'ultima osservazione) e di Progression Free Survival (PFS, vale a dire il tempo dall'inizio del Docetaxel alla progressione della malattia o alla data di morte o dell'ultima osservazione), analizzate entrambe attraverso il metodo Kaplan-Meier; le curve derivanti sono state confrontate mediante log-rank test e l'analisi dei dati è stata eseguita col programma STATA-13. Tra i due gruppi non esistono differenze significative per quanto riguarda le caratteristiche dei pazienti. I pazienti del Gruppo 2 ha ricevuto un numero significativamente maggiore di trattamenti rispetto al Gruppo 1 (p = 0.037); per quanto riguarda la PFS dei pazienti che hanno ricevuto una seconda linea di terapia, risulta significativamente più lunga quella dei pazienti del Gruppo 2 rispetto a quella dei pazienti del Gruppo 1 (13 mesi vs. 8.7 mesi, rispettivamente; p = 0.0005). Allo stesso modo nei pazienti del Gruppo 2 è stata registrata una OS significativamente più lunga (31.2 mesi vs. 15.1 mesi del Gruppo 1, con p < 0.0001). Infine, il tasso di OS ad un anno è risultato del 59% per i pazienti del Gruppo 1 rispetto al 92% per quelli del Gruppo 2. Dall’analisi della casistica inclusa in questo studio retrospettivo pare essere confermata l'efficacia dei nuovi agenti antineoplastici quali Cabazitaxel, Enzalutamide ed Abiraterone Acetato nel trattamento di pazienti non selezionati (“real life”) affetti da carcinoma prostatico metastatico resistente alla castrazione.
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