Riassunto analitico
La diffamazione delle religioni è una tematica che da qualche anno ha interessato organizzazioni internazionali e singoli ordinamenti giuridici statali: su impulso dei Paesi musulmani le Nazioni Unite hanno emanato diverse risoluzioni in materia, tutte volte a tutelare le diverse religioni in sé piuttosto che i credenti. L'intento era di combattere la discriminazione, ma il rischio è in realtà quello di contribuire ulteriormente alla confusione tra fede e singolo individuo fedele, confusione estremamente pericolosa. Solo recentemente si sta invertendo la tendenza e si sta ponendo al centro della protezione l'individuo. Allo stesso modo si stanno così orientando il Consiglio d'Europa e l'Unione Europea. In alcuni singoli Stati la questione è affrontata sotto il profilo penale: sono celebri i casi di scrittori, artisti, registi citati in giudizio per aver creato opere “blasfeme”. Pier Paolo Pasolini, Martin Scorsese, i disegnatori della rivista Charlie Hebdo sono solo un esempio. In che modo reati come il vilipendio alla religione possono coesistere con la libertà fondamentale, riconosciuta in tutte le Carte internazionali e nelle Costituzioni nazionali occidentali, di manifestazione del pensiero – in tutte le sue forme, compresa quella artistica? E soprattutto, come si dovrebbe collocare il diritto di satira, che nelle sue varie espressioni spesso e volentieri va a colpire le credenze religiose, in questo quadro normativo? Mettendo a confronto Italia e Germania, due Paesi che hanno una “storia religiosa” molto differente, si possono osservare due approcci ugualmente diversi, l'uno volto a tutelare una religione-bene di civiltà prima e un sentimento religioso individuale poi, l'altro più concentrato sulla protezione della pace pubblica; eppure nessuno dei due ordinamenti sembra soddisfare le questioni che continuano a porsi in relazione alla previsione di reati penali in materia di religione. Questioni che non sono ancora state del tutto sanate né da pronunce giurisprudenziali né da riforme come quella che nel 2006 è intervenuta in Italia. Tenuto conto del principio di offensività, e del principio di laicità a cui Paesi come Italia o Germania sono improntati, ha ancora senso una normativa impostata in tal modo? Quale spazio dovrebbero trovare, in queste previsioni, nuove “confessioni”, come ad esempio Scientology, molto più vicine a essere sette che vere e proprie religioni? Nel sentimento religioso, per il principio di non discriminazione, dovrebbero essere incluse anche tutte quelle “credenze” atee o agnostiche? Di quanto si sposterebbe infine il confine tra la libera manifestazione del pensiero e il vilipendio? Dopo l'attentato del 7 gennaio 2015 alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo il dibattito sulla libertà d'espressione e la tutela della religione si è riaperto: e di fronte a sempre nuove e più aggressive frange di fondamentalismo ci si chiede quanto una tutela penale del sentimento religioso possa contribuire al mantenimento di un ordinamento pluralista e multiculturale o quanto sia una semplice limitazione della libertà di manifestazione del pensiero, e quindi una potenziale violazione dei diritti fondamentali dell'individuo, ancorata oltretutto a qualche residuo di confessionalismo che non dovrebbe più essere presente nelle moderne società laiche.
|