Riassunto analitico
Ai nostri giorni il medico si trova a dover agire in un clima di insoddisfazione e sfiducia dell’opinione pubblica, sempre soggetto a verifica del suo operato ed esasperazione di eventuali errori con attribuzione di innumerevoli responsabilità. Uno degli ambiti più frequentemente concernenti la responsabilità professionale dei medici e delle strutture sanitarie è rappresentato dalle infezioni contratte nei luoghi di cura, che portano ad innumerevoli contenziosi a carico dei medici e degli Enti. Secondo la giurisprudenza attuale, in base al rapporto di tipo contrattuale tra Struttura sanitaria/operatore e paziente spetta al primo fornire, in un procedimento giudiziario, la prova dell’esattezza della prestazione medica e la dimostrazione di aver fatto tutto il possibile per evitare l’evento dannoso, quindi a lui non imputabile. Il problema delle infezioni contratte in un luogo di cura ha assunto negli ultimi 20 anni una dimensione allarmante, ed ha comportato la necessità, per tutte le strutture sanitarie, di adottare efficaci misure di prevenzione, molto complesse ed onerose. In passato la maggior parte degli interventi assistenziali aveva luogo in ospedale, mentre a partire dagli anni ‘90 è cresciuta l’importanza dei luoghi e modalità di cura extra-ospedalieri. Riguardo le infezioni connesse a queste attività assistenziali sono cambiati i tempi e le modalità di insorgenza. Per questo è necessario l’utilizzo di definizioni e classificazioni standard, sia ai fini della prevenzione, della sorveglianza e del controllo di queste infezioni, sia ai fini più specifici delle valutazioni medico-legali. La precedente definizione che vedeva la distinzione tra HAI (hospital-acquired infection) e CAI (community-acquired infection) è diventata meno netta, e tutto ciò ha comportato la necessità di revisionare i profili definitori, ed in conseguenza di ciò è stato introdotto il concetto di infezioni correlate all’assistenza (healthcare-associated infections – HCAI). Le HCAI più frequenti sono date dalle infezioni del sito chirurgico, infezioni del tratto urinario da cateterismo vescicale, batteriemie e sepsi da CVC, polmoniti connesse all’assistenza respiratoria. Nonostante tutte le linee guida, i protocolli operativi e le precauzioni messe in atto, le HCAI appaiono tutt’oggi una realtà che non può essere eliminata del tutto. Queste infezioni assumono una grande importanza anche sul piano del contenzioso medico-legale riflettendosi infatti in misura sensibile anche sui profili di responsabilità professionale degli operatori e dei servizi sanitari. Tutto questo ha un’importanza fondamentale quando viene avviato un contenzioso contro una struttura sanitaria o gli operatori sanitari stessi. Infatti, poter dimostrare di aver fatto tutto il possibile per cercare di contrastare e prevenire l’insorgenza delle HCAI, rappresenta un punto imprescindibile per evitare la soccombenza in sede di giudizio. L’orientamento attuale della giurisprudenza tende a dare per scontato che la sola diagnosi di HCAI, rappresenti la prova che non sono stati posti in essere tutti quei presidi di prevenzione atti ad evitare l’insorgenza della stessa, individuando pertanto una responsabilità in capo alla struttura e condannandola al risarcimento del danno. La tesi approfondisce questa tematica anche alla luce di salienti sentenze soprattutto in ambito civile, analizza una casistica ospedaliera per approfondire le difficoltà che si incontrano, sul versante delle Strutture, nel fornire la prova dell’esatta prestazione, ed i criteri di valutazione dei profili di responsabilità dei sanitari, o degli enti in rapporto a lacune organizzative. L’obiettivo finale è costituito dalla formulazione di una nuova proposta per la gestione del contenzioso in questo specifico settore.
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