Riassunto analitico
Durante il mio percorso di laurea magistrale, mi è stata offerta la possibilità di svolgere il tirocinio curriculare presso uno Studio legale che offre assistenza a imprese e risparmiatori con riferimento ai settori del diritto bancario e del diritto finanziario. Nello svolgimento delle mansioni a me affidate, ho avuto l'opportunità di studiare e analizzare una vicenda di straordinario interesse per la mia formazione, che ha avuto una grande rilevanza sia per il territorio locale, ma anche a livello nazionale: il caso dei diamanti da investimento collocati tramite canale bancario.
Dagli anni ’80 si è diffusa in Italia l’idea di poter investire in un nuovo bene rifugio quale il “diamante da investimento”. Negli anni migliaia di italiani hanno scelto di mettere al sicuro i loro risparmi acquistando queste pietre preziose. L’investimento era suggerito dalle banche come un modo sicuro per conservare il proprio capitale e realizzare comunque un piccolo rendimento. L’operazione veniva addirittura presentata come preferibile all’altro storico bene rifugio, l’oro: il mercato del diamante era infatti stabile e in costante crescita dal 1992. Non solo, i diamanti erano anche di facile liquidabilità: la rivendibilità delle pietre era semplice e gli acquirenti potevano controllare trimestralmente le quotazioni dei diamanti sul “Sole 24 Ore”. Nel 2016 Report, in un servizio sugli investimenti consigliati dalle banche come sicuri, fa scoppiare il caso: non solo i diamanti non sono riconosciuti come strumenti di investimento dal nostro ordinamento giuridico, ma i prezzi pagati dagli acquirenti erano il doppio del reale valore. Le banche prendono immediatamente le distanze dal caso dichiarandosi mere segnalatrici. Il problema però diventa come tutelare coloro che avevano deciso di investire in questo modo.
Nel 2017 la Consob emana una comunicazione storica rispetto all’investimento in diamanti: l’organo sostiene che il diamante non possa essere considerato uno strumento di investimento bensì un bene materiale, questo significa applicare ai diversi casi le tutele del codice del commercio (ed eventualmente del codice civile) e non le ampie e specifiche tutele previste dal Tuf. La comunicazione si conclude affermando che l’organo avrebbe però svolto specifici approfondimenti rispetto al fatto che le vendite fossero avvenute con le caratteristiche di offerta di un prodotto finanziario con promesse di rendimento, obblighi di riacquisto e realizzazione di profitti. Nel farlo avvia una collaborazione con Banca d'Italia e con l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
La risposta dell’Antitrust sarà piuttosto severa evidenziando come in realtà le banche non fossero delle “mere segnalatrici” ma parte attiva di un sistema che le coinvolgeva come protagoniste essendo previste per quest’ultime cospicue commissioni e bonus parametrati al volume di vendita Rispetto a questo tipo di "investimento” si pronuncerà anche l’ACF, l'Agcom, il Tar del Lazio, il Consiglio di Stato, il tribunale civile e il tribunale penale. Resta però la visione nel nostro sistema del diamante come bene materiale e non come strumento finanziario. Questo ha avuto delle conseguenze sulle tutele dei risparmiatori.
Con questo mio lavoro ho cercato di approfondire la fattispecie dell’investimento in diamanti osservando anche la differenza con l’oro, le conseguenze provocate dalla mancanza di una disciplina specifica che tutelasse coloro che nel tempo hanno acquistato diamanti e il coinvolgimento delle banche in questa vicenda. Nel farlo ho scelto di concentrarmi soprattutto su IDB, peraltro oggi fallita, per il fatto che è stata la prima società a collocare i diamanti da investimento nel nostro territorio, nonché quella di maggiore interesse ai fini della mia analisi. Al termine dell’analisi teorica ho svolto anche un approfondimento rispetto alle concrete conseguenze per i casi trattati dallo Studio.
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