Riassunto analitico
Con l’introduzione nel nostro ordinamento del d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (“disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’ art. 11,1. 29 settembre, n.300) si è cercato di colmare una lacuna normativa al fine di razionalizzare le risposte sanzionatorie tra gli Stati e di reprimere una delle principali manifestazioni di reato, vale a dire l’illegalità d’impresa posta in essere da soggetti a struttura organizzata. Il crescente fenomeno dei cosiddetti “white collar crimes” ha reso pressante per l’ Unione Europea l’esigenza di introdurre un efficace sistema di contrasto dell’ attività criminale, non di matrice individuale, ma riferibile agli Enti intesi come persone giuridiche, società e associazioni anche prive di personalità giuridica. Ciò ha costituito un’importante novità nel nostro ordinamento giuridico, che, più di altri, ha manifestato una forte resistenza all’accoglimento del principio della responsabilità penale degli Enti, trovando un ostacolo insormontabile nel principio “societas delinquere non potest” codificato nell’art. 27 della Costituzione. Il d. lgs 321/01, che segue alla Legge Delega n. 300/00, istituisce la responsabilità amministrativa dell’Ente per determinati reati posti in essere dai suoi amministratori, dirigenti o dipendenti nell’ interesse e/o della società: istituire una responsabilità amministrativa consente di superare il precitato ostacolo. Una delle principali problematiche al fine di disciplinare una così particolare normativa è quello di fissare i criteri d’imputazione e colpevolezza. L’imputazione all’ente del reato commesso dal vertice apicale della società (o dal subordinato) avviene in relazione al rapporto di carattere organico sussistente con il predetto soggetto e l’ente, nel caso in cui si realizzi un vantaggio o interesse dell’ente (art. 5 del D.lgs. 231/01). Dunque la fattispecie della responsabilità amministrativa dell’ente appare complessa: essa parte dalla commissione di un reato presupposto (reati originariamente elencati nel d. Lgs. 231/01 e poi via via incrementati) da parte del vertice apicale dell’ente (o del sottoposto), dalla verifica se il reato è stato realizzato nell’interesse o vantaggio dell’ente, nella attribuzione della responsabilità amministrativa in capo all’ente (salvo le prove liberatorie) e l’applicazione di sanzioni direttamente all’ente. Tra le sanzioni sono previste misure cautelari interdittive (le quali differiscono da quelle del processo penale ordinario). A questo punto la questione si sposta al processo penale contro l’ente ove, in relazione al precitato D. Lgs. 231/01 sono previste misure interdittive (art. 13), applicabili in sede di affermazione della responsabilità dell’ente sia misure cautelari dello stesso contenuto, applicabili in una fase incidentale del processo in presenza per fumus e del periculum. Si aprono qui ancora inesplorati scenari sia in relazione all’applicazione di tali sanzioni anticipatorie in un processo che prevede la presunzione di innocenza dell’incolpato sia in relazione alla complessa valutazione che il giudice deve fare se il sistema organizzativo di controllo è idoneo ed efficace.
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