Riassunto analitico
Al giorno d'oggi, soprattutto tra i più giovani, si può osservare una progressiva normalizzazione del consumo di sostanze, specie dei cannabinoidi, ma – in misura minore – anche di altre droghe. Nella maggior parte dei casi, purtroppo, tale tendenza non viene affrontata adeguatamente, spesso a causa di un clima culturale moralizzante e dogmatico. La riduzione del danno è un approccio giovane ed innovativo che mira a prevenire e limitare l’impatto negativo dei consumi. Tuttavia, poiché non presume l’astinenza come obiettivo essenziale, non gode di piena legittimazione e viene subordinato alle già affermate strategie. Sempre più ricerche ne rilevano però la maggiore efficacia, nonché la capacità di responsabilizzare sia gli individui che la società, pertanto risulta di fondamentale importanza un suo riscatto. Inoltre, se a livello internazionale sempre più esperienze avanguardistiche adottano, beneficiandone, politiche di depenalizzazione e legalizzazione, in Italia, come dimostrano il recente inabissamento del Referendum sulla cannabis e l’Odissea affrontata dalla proposta di legge Magi-Licatini, intraprendere tale via sembra ancora un miraggio. Oltretutto la drug policy italiana prevede interventi di riduzione del danno ancora molto timidi e risicati. La ricerca prende le mosse da un esame del funzionamento morale, dalla decostruzione delle due visioni paradigmatiche egemoni sul fenomeno dei consumi (se ne rintracciano le origini e si presentano le criticità dell’approccio proibizionista da queste promosso), dalla considerazione di un modello multifattoriale relativo agli stili di consumo e dalla declinazione del paradigma della riduzione del danno in chiave comunitaria. Con queste premesse teoriche la ricerca mira ad una disamina critica degli stereotipi e dei pregiudizi che circondano le droghe e i loro consumatori, ma senza trascurare il fenomeno dell’autostereotipizzazione. Tale obiettivo è perseguito tramite la realizzazione di due questionari, uno rivolto a soggetti consumatori ed ex consumatori, l’altro a soggetti non consumatori. La domanda alla base del primo questionario è: “quanto sono calzanti gli stereotipi propagandati dai paradigmi morale e disease sul consumo di sostanze e su chi lo pone in essere?”. Quelle da cui muove il secondo sono invece: “Quanto sono diffusi questi stereotipi e quanto danno luogo a pregiudizi? Su che base vengono convalidati? Inibiscono l’accettazione delle prassi di riduzione del danno?” I dati emersi dal primo campione contrastano alcuni stereotipi, avvalorandone degli altri. Ad esempio, non si riscontrano né livelli eccessivi di disagio, né compromissioni rilevanti nella capacità di giudizio morale o del normale funzionamento individuale; il gruppo dei pari risulta influente nella socializzazione agli stili di consumo adottati, il locus of control è percepito per lo più internamente e vi è una più che moderata consapevolezza dei rischi legati al consumo; di contro emergono correlazioni positive, seppur deboli, tra il consumo di droghe illegali e variabili come i comportamenti antisociali e il disadattamento, nonché delle correlazioni negative, anch’esse contenute, tra il consumo di droghe illegali e variabili quali la percezione interna del locus of control e la soddisfazione per la qualità di vita. Invece, per quanto riguarda i non consumatori, gli stereotipi sulle droghe proposti non risultano largamente diffusi. Inoltre, sebbene la loro percezione sociale dei consumatori non risulti squalificante, questi ultimi suscitano in loro una certa dose di emozioni negative. Infine è emerso che basse percezioni di competenza e soprattutto di calore e moralità inibiscono l’approvazione degli interventi di riduzione del danno e della legalizzazione.
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