Riassunto analitico
Il presente lavoro affronta un argomento cruciale e molto dibattuto ancora oggi: l’atteggiamento pregiudizievole e discriminatorio nei confronti di chi è “diverso”. Secondo Allport, tali fenomeni nascono dalla mancanza di conoscenza tra gruppi. Se persone appartenenti a gruppi diversi avessero la possibilità di conoscersi, potrebbero scoprire di avere molte più affinità di quanto pensino, riducendo così le rispettive ansie e paure determinate dalla minaccia di ciò che non si conosce e, inoltre, migliorerebbe le relazioni intergruppi. Tale ipotesi, secondo cui il contatto tra gruppi riduce il pregiudizio e la discriminazione, può sembrare una strategia utile anche per ridurre i fenomeni di deumanizzazione. Questi assunti rappresentano le fondamenta su cui verte l’elaborazione della presente ricerca. Attraverso la somministrazione di 3 questionari si è cercato di capire se gli effetti del contatto con membri di un out-group primario possano estendersi anche a membri di out-group secondari non coinvolti nell’esperienza di contatto. Nel primo capitolo sarà delineato il concetto di pregiudizio, atteggiamento pervasivo e universale, proprio del genere umano, derivante da un’opinione preventiva ed avventata nei confronti di qualsiasi diversità: fisica, etnica, di genere, di orientamento sessuale, di status socio-economico, ecc. Segue poi un’importante differenziazione dal concetto di stereotipo che, nonostante anch’esso si presenti come un atteggiamento, è un processo che conduce l’individuo, spesso involontariamente, a classificare per categorie ogni oggetto di conoscenza, compresi i gruppi umani, in insieme il più possibile omogenei. Lo stereotipo è definito come «l’anticamera del pregiudizio», questo a dimostrazione che i due concetti sono strettamente correlati e, insieme, possono condure alla discriminazione, comportamenti reali e concreti, che possono andare dall’aggressione verbale a quella fisica, messi in atto verso membri appartenenti ad altri gruppi. Inoltre, verrà analizzata nello specifico la Teoria della Categorizzazione di Turner, modello che è stato illuminante per chiarire la Categorizzazione del Sè, e come essa tenda naturalmente ad inserirsi in determinate categorie sociali. Nel secondo capitolo, sarà delineata una forma particolarmente gravosa di discriminazione: la deumanizzazione, fenomeno che si presenta come la negazione totale o parziale dell’umanità altrui, ovvero la tendenza a percepire i gruppi estranei come “meno umani”. Si tratta di un fenomeno poliedrico e ne saranno descritte le varie forme e le strategie di cui si avvale: esplicite, legittimando umiliazioni, soprusi e maltrattamenti, e sottili, processi deumanizzanti quotidiani che spesso, in maniera latente ed inconsapevole, corrodono lo status umano dell’Altro. Nel terzo capitolo, andremo a parlare di un bisogno fondamentale per tutti gli esseri umani: l’autostima. Avere una buona autostima pone le persone in grado di affrontare le sfide; di raccogliere i frutti del loro impegno e di costruire in questo modo la fiducia in sé stesse. Nel quarto capitolo, sarà presentato il lavoro di ricerca. Verranno introdotte le finalità dello studio e i suoi obiettivi, volti a riportare l’attenzione sull’importanza di favorire opportunità di contatto con le “diversità”. Attraverso i questionari, si cercherà di capire se la qualità e la quantità del contatto con un gruppo primario ̶ rappresentato dai disabili- possa favorire l’umanizzazione e l’empatia nei loro riguardi e se, effetti simili, possono verificarsi nei confronti di un gruppo stigmatizzato: le persone con disabilità. Saranno presentati, anche graficamente, i dati emersi dal questionario somministrato a 47 partecipanti. In ultima istanza, saranno discussi i risultati, gli eventuali effetti della ricerca, i limiti dello studio e ulteriori interventi educativi attuabili.
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