Riassunto analitico
Per molto tempo, l’obiettivo principale della lotta al cancro è stato “strappare tempo alla morte, prolungare il più possibile la vita”, trascurando, involontariamente, la qualità di essa. Tuttavia, questi farmaci citotossici, che non sono specifici per le cellule tumorali (colpiscono le cellule tumorali, ma anche quelle sane che normalmente si riproducono con frequenza maggiore rispetto ad altre), che inibiscono la duplicazione del DNA (interagendo con esso), o bloccando la divisione cellulare (inibendone i microtubuli), sono ancora oggi impiegati nel trattamento di forme neoplastiche maligne e responsabili di effetti collaterali indesiderati. Fortunatamente, all’inizio del 1960, sono stati scoperti nuovi bersagli molecolari, che alla fine del secolo scorso hanno permesso interventi terapeutici mirati (Target Terapy). Diversamente dalla chemioterapia tradizionale, la “target terapy” non va ad agire su meccanismi propri di tutte le cellule, ma su meccanismi dipendenti da oncogeni, o oncosoppressori. Per esempio l’inibitore tirosin chinasico, imatinib (Glivec), agisce bloccando l’attivazione dell’enzima tirosin-chinasi iperattivo, ottenuto dall’alterazione cromosomica Brc-Abl, tipica della leucemia mieloide cronica, LCM. Un’azione simile è quella svolta dagli anticorpi monoclonali umanizzati (trastuzumab per il trattamento del carcinoma mammario, cetuximab e bevacizumab per il trattamento del tumore del colon-retto e del polmone), i quali sono in grado di interferire con recettori sovra-espressi, presenti sulla superficie cellulare delle cellule cancerogene (come HER2/neu, EGFR, VEGFR). Purtroppo, anche per quanto riguarda questi farmaci, soprannominati “intelligenti”, la realtà s’è presto rivelata meno idilliaca di quanto ci si aspettasse. La terapia mirata, infatti, non è stata in grado di far eccellere il QOL (Quality Of Life) più di tanto, e gli effetti collaterali sono rimasti poiché questi bersagli, seppur in minor presenza, sono presenti anche sulla superficie delle cellule sane. In questa tesi vengono descritte alcune delle nuove “target terapy” per le quali i ricercatori hanno provato a dare un’impronta sempre più selettiva e meno tossica. Verranno trattati farmaci citotossici coniugati con anticorpi monoclonali, la cui combinazione consente di colpire in particolare le cellule tumorali, e di somministrare farmaci che da soli risulterebbero troppo tossici per l’organismo dei pazienti(Cap.1). Un’altra strada percorsa dalla terapia mirata è quella dell’attivazione dei processi apoptotici della cellula, inibendo il proteasoma 26s. Bloccando l’attività proteasomica, le proteine intracellulari si accumulano provocando alle cellule, specie a quelle cancerogene, il blocco della crescita, della divisione e apoptosi(Cap.2). Durante lo sviluppo degli inibitori proteasomiali una domanda è sorta spontanea: anziché bloccare il proteasoma 26s, è possibile trarre benefici terapeutici sfruttando l’attività proteasomica?(Cap.3). Considerando tale ipotesi, si sono iniziate a progettare molecole eterobifunzionali in grado di indurre la degradazione proteasomiale di proteine intracellulari coinvolte nell’eziogenesi del cancro, e non solo. Ben presto però, ci si è resi conto che il peso molecolare di queste molecole rende difficile la loro permeazione cellulare; solo una piccola percentuale di farmaco riesce a raggiungere la cellula bersaglio. Così, si è pensato di facilitare la permeazione somministrando i precursori della molecola eterobifunzionale, ma la vera conquista è stata quella di riuscire a sfruttare la reazione “click” biortogonale all’interno della cellula interessata(Cap.4). Infine, si parlerà di immunoterapia: trattamento volto a ridurre il tasso di mortalità e a aumentare il QOL distruggendo le cell cancerose tramite il sistema immunitario(Cap.5).
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