Riassunto analitico
INTRODUZIONE: La sindrome crioglobulinemica (MCS) è una vasculite autoimmune, prodotta dalla deposizione di immunocomplessi costituiti da immunoglobuline anomale, le crioglobuline, sulla parete dei vasi di piccolo/medio calibro. In oltre l’80% dei casi, la MCS è correlata all’infezione cronica da virus dell'epatite C (HCV). La terapia eziologica rappresenterebbe, quindi, il gold standard del trattamento della vasculite, con l’obiettivo di una completa guarigione. Negli ultimi decenni, la terapia antivirale con interferone peghilato e ribavirina ha costituito lo standard di cura dell’HCV, con risultati spesso deludenti e gravata da numerosi effetti collaterali. Per questo, negli ultimi anni, sono stati sviluppati numerosi farmaci antivirali ad azione diretta (DAAs), tali da consentire l'uso di regimi terapeutici che non prevedono l’uso di interferone (IFN-free regimens). SCOPO DELLO STUDIO: Valutare l’effetto della terapia antivirale con DAAs sull’espressione clinica e laboratoristica autoimmune in pazienti affetti da MCS. PAZIENTI E METODI: nel presente studio prospettico preliminare, abbiamo arruolato 13 pazienti consecutivi affetti da con MCS (2/11 M/F, età media 66,38±8,76 anni), seguiti dai Reparti di Reumatologia, Gastroenterologia o Medicina I del Policlinico di Modena, che hanno intrapreso il trattamento con DAAs (in regime IFN-free) nel periodo dal 1 Novembre 2015 al 31 Marzo 2016. I pazienti sono stati seguiti in follow-up con la raccolta dei dati clinici e di laboratorio sino a termine di questo studio, il 30 Giugno 2016. RISULTATI: Già a 8 settimane dall’inizio del trattamento antivirale tutti i pazienti sono risultati negativi alla rilevazione dell’HCV RNA. Al termine dei 3 mesi di trattamento, 9/13 (69%) pazienti hanno assistito ad un miglioramento significativo della sintomatologia clinica. La porpora, presente in 9/13 pazienti al basale, era scomparsa in 4 casi, ridotta d’estensione in 2, persistente in 2. Solo 1 caso ha mostrato un rapido deterioramento clinico durante la terapia, con sviluppo di glomerulonefrite crioglobulinemica. Quest’ultima, presente in altri 2 casi, non ha mostrato variazioni sostanziali. La sintomatologia neuropatica si è significativamente ridotta (VAS da 74,6±25,4 a 51,5±31,3; p=0,014), così come quella artralgica (VAS da 60,7±24 a 45,4±26,5; p=0,032), mentre non ha raggiunto la significatività il calo d’intensità soggettivo dell’astenia (VAS da 67±25,6 a 47,6±28,6; p=0,07). Nei 4 pazienti con quadri linfoproliferativi, pur non osservando variazioni cliniche significative, si osservava la riduzione della percentuale di linfociti CD19+ (da 32,2±14 a 10,5±10,3%; p=0,068). Il criocrito si è progressivamente ridotto da un valore medio basale 4,4% a <1% al termine del follow-up; la riduzione risultava già statisticamente significativa dopo 8 settimane di terapia (criocrito medio 2,8%; p=0,018). Anche la frazione C4 del complemento ha mostrato un andamento simile, aumentando da 2±3,4 a 5±5,4 mg/dl a 8 settimane (p=0,011), sino a 16,8±3,4 al termine del follow-up. Infine, anche il fattore reumatoide si riduce significativamente a 8 settimane di terapia rispetto al basale (165±217 a 77±100; p=0,013); successivamente, solo nel paziente che ha sviluppato la glomerulonefrite, il fattore reumatoide torna su valori molto elevati. Gli effetti collaterali più comunemente riscontrati sono stati cefalea e crisi di ansia, ma in nessun caso hanno richiesto l’interruzione della terapia. CONCLUSIONI: il trattamento con DAAs ha prodotto un miglioramento significativo su gran parte delle manifestazioni di MCS. Ulteriori studi su casistiche più ampie e con follow-up post-terapia protratto potranno meglio chiarire l’effettivo impatto dei DAAs nella terapia eziopatogenetica di MCS.
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