Riassunto analitico
Questa tesi tratta di una patologia purtroppo sempre più frequente nella popolazione mondiale, soprattutto per l’aumento dell’età media, ed anche per questo oggetto di grande interesse da parte degli studiosi, e cioè la malattia di Alzheimer. Si è indagato sulle basi biochimiche della malattia e in vari studi è emerso che c'è una molecola, l’omocisteina, la cui presenza è stata trovata spesso alterata in pazienti malati di Alzheimer. Da qui sono derivate le ricerche per trovare una possibile associazione tra iperomocisteinemia e Alzheimer tale da fare dell’iperomocisteinemia uno strumento diagnostico o prognostico. L’omocisteina è una molecola che deriva dal metabolismo di un amminoacido essenziale, la metionina, introdotto nel nostro organismo tramite la dieta; nel metabolismo dell’omocisteina sono coinvolti più enzimi e cofattori le cui alterazioni (per cause dietetiche, genetiche ecc) possono determinare squilibri della corretta concentrazione plasmatica che dovrebbe avere l’omocisteina (<13 micromoli/L) determinando così iperomocisteinemia; i principali enzimi coinvolti sono il metilenetetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) che ha come cofattore l’acido folico e la vitamina B2, la metionina sintasi che ha come cofattore la vitamina B12, la cistationina ß sintasi e la betaina sintasi che hanno come cofattore la vitamina B6. Oltre agli enzimi, quindi, diverse vitamine del gruppo B, quali l'Acido Folico (vitamina B9), la Betaina, la vitamina B12, la vitamina B6 e, in piccola parte, anche la Vitamina B2 risultano importanti per il controllo dei livelli plasmatici dell’omocisteina, la cui alta concentrazione è stata associata al declino cognitivo, perdita di memoria e atrofia corticale tipici della malattia di Alzheimer. Sono stati effettuati studi osservazionali, sia di tipo retrospettivo che prospettico: gli studi retrospettivi hanno osservato nella maggior parte dei casi un aumento di omocisteina nei malati di Alzheimer rispetto ai gruppi di controllo, senza riuscire però a stabilire se questo aumento è la causa o la conseguenza della malattia; per chiarire l'associazione temporale o causativa sono necessari gli studi prospettici. Questi studi generalmente iniziano con un gruppo di soggetti sani, seguiti per un certo lasso di tempo, durante il quale viene registrata l'incidenza del disturbo di Alzheimer o la demenza, e il corrispondente rapporto di rischio calcolato; anche in questo caso la maggior parte dei dati raccolti sono risultati favorevoli alla connessione studiata. Sono stati poi effettuati studi di intervento, basati principalmente su trials randomizzati e controllati; il progetto ideale di un RCT dovrebbe basarsi su trattamenti di riduzione dell’omocisteina o placebo in pazienti affetti da Alzheimer accuratamente randomizzati, e si dovrebbero verificare cambiamenti cognitivi dopo i trattamenti. Dei vari RCTs effettuati finora su pazienti malati di Alzheimer, nessuno ha avuto risultati positivi, tranne uno della lunghezza di sei mesi, che ha trovato che il trattamento di riduzione dell’omocisteina migliora gli effetti benefici degli inibitori della colinesterasi nei malati di Alzheimer. Altri RCTs, nonostante la riduzione dei livelli di omocisteina osservata, hanno fallito nel rilevare qualsiasi beneficio cognitivo in pazienti malati di Alzheimer. Diversi studiosi ritengono che gli RCTs effettuati mostrino alcune criticità, sia per il tipo di popolazione utilizzata, sia per la durata dei periodi di trattamento, giudicati troppo brevi per una malattia degenerativa. E’ dunque ancora aperta la questione se esista o meno un legame tra iperomocisteinemia e Alzheimer. Un’eventuale comprensione della relazione significherebbe potere agire sulla dieta come strategia o supporto terapeutico o quanto meno avere uno strumento diagnostico. In ogni caso, qualunque chiarimento rappresenterà un avanzamento verso la conoscenza e la cura di questa patologia ancora oggi così oscura.
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