Riassunto analitico
Il presente elaborato si prefigge di indagare l'evoluzione del fenomeno della società di fatto partecipata da società di capitali, alla luce dell'orientamento della Corte di Cassazione inaugurato con la sentenza n.1095 del 2016, che ha affermato la validità della partecipazione acquistata dall'organo gestorio delle società di capitali, anche in violazione dei dettami contenuti nell'art. 2361 c.c., secondo comma. Nel primo capitolo si è pertanto reso necessario indagare il normale riparto delle competenze nella s.p.a. fra l’amministratore e l’assemblea dei soci, e cercare di ricavare dall’intera disciplina dedicata al tipo societario una qualificazione della delibera prevista dalla norma citata: se essa debba intendersi meramente autorizzatoria al compimento di un atto di gestione della società per azioni o se invece con essa il legislatore abbia inteso introdurre una deroga al normale riparto di competenze fra i suoi organi. Nel secondo capitolo, si sono descritti i lineamenti della c.d. super società di fatto, la società irregolare, e pertanto a responsabilità illimitata dei suoi soci, cui partecipino anche società di capitali, per come è stata introdotta dalla giurisprudenza creativa della Corte di Cassazione. In particolare ci si è soffermati sull’ipotesi in cui a partecipare a siffatta società sia una s.r.l., società per le quali manca una previsione omologa all’art. 2361 c.c. dettato per le sole s.p.a. Si è poi tentato di dimostrare come la costruzione di questa “sovrastruttura” poggi su basi argomentative solo apparentemente solide, ma appaia il frutto di forzature atte ad apprestare una tutela insperata per i creditori di una società, imprenditore individuale od altro soggetto che sia stato riconosciuto socio di fatto di una società di capitali Una volta accertata l’esistenza di una siffatta società di fatto, questi potranno infatti aggredire il patrimonio di ciascuno dei suoi soci. È altrettanto evidente che, per contro, gli interessi dei soci della società partecipante ne escano gravemente compressi, rischiando di vedere azzerato il valore della propria partecipazione in conseguenza all’attività della partecipata, su cui non hanno alcun controllo, in conseguenza dell’acquisto di una partecipazione, da parte della loro società, cui non possono opporsi. Paradossalmente, ad uscirne peggio è quello stesso ceto creditorio (che gli ermellini si prefiggono di tutelare), nella persona dei creditori della società di capitali, che potrebbero subire il concorso di una moltitudine indistinta di creditori degli altri soggetti, riconosciuti dal giudice soci di fatto della società loro debitrice. La conseguenza limite, cui è dedicato l’intero terzo capitolo della tesi, è quella del fallimento della società partecipante, in ripercussione, ex art. 147 l. fall., del fallimento della partecipata, istituto che ha avuto un’evoluzione assai travagliata e causa di un’accesa disputa dottrinale, con particolare riferimento al suo quinto comma che prevede l’estensione ascendente del fallimento dall’impresa palese alla società occulta. Questo strumento, che rischia di confondersi con il fallimento del gruppo d’imprese, pur se osteggiato in dottrina, ha ricevuto conferma nella giurisprudenza della Corte costituzionale e, da ultimo, una positivizzazione nel nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di prossima entrata in vigore.
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