Riassunto analitico
L’attività d’intermediazione è stata caratterizzata da un processo di forte innovazione finanziaria, la quale ha dato origine a prodotti e meccanismi finanziari più complessi e opachi che hanno trasformato fortemente la struttura dei mercati finanziari. Queste complessità hanno reso indispensabile un intervento legislativo finalizzato a creare un quadro normativo capace di colmare le lacune e la scarsa omogeneità della disciplina esistente. Per riuscirci diviene necessario comprendere, in senso dinamico, l’interconnessione tra fiducia e trasparenza caratteristica del rapporto investitore- intermediario. Nella definizione delle disposizioni normative, in particolare per la valutazione di adeguatezza, viene riconosciuta la tolleranza al rischio del cliente come informazione necessaria per determinare un investimento adeguato alla profilatura e specificità del cliente. La struttura normativa europea si fonda sulla configurazione teorica finanziaria classica relativa alle scelte di portafoglio e alla formazione dei prezzi sui mercati finanziari. Gli studi di finanza comportamentale hanno, analizzando nei processi decisionali la combinazione di emotività e razionalità, evidenziato diversi aspetti problematici relativi alla capacità descrittiva del modello classico quali l’ipotesi di efficienza dei mercati e la perfetta razionalità alla base delle scelte d’investimento. Abbandonando le ipotesi caratteristiche della teoria dei mercati efficienti, tali studi risultano in grado di fornire risposte migliori sul reale andamento dei mercati finanziari. L’investitore diviene “emotivo” e il processo si sviluppa a partire da fattori cognitivi intuitivi e emotivi. I concetti di rischio e avversione al rischio rappresentano, però, i pilastri fondamentali sia della teoria finanziaria classica sia degli studi di finanza comportamentale. Se nella teoria classica il rischio viene definito unidimensionale, oggettivo e orientato a una prospettiva macro; negli studi di finanza comportamentale il rischio viene considerato come soggettivo, multidimensionale e definibili a partire da una valutazione micro delle caratteristiche specifiche dell’investitore. L’analisi comparata tra teoria classica e comportamentale consente di comprendere gli errori commessi nel processo di trasformazione delle disposizioni normative in prassi operative e di analizzare le nuove proposte teoriche e legislative formulate al fine di aggiustare i processi di valutazione degli investitori. Nell’effettuare tale trasformazione gli intermediari finanziari, sottolineando la necessità di misurare il grado di tolleranza al rischio attraverso meccanismi riconducibili a una valutazione oggettiva, hanno riconosciuto come strumento di misurazione ottimale i questionari. Risulta, dunque, indispensabile comprendere la funzionalità di tali strumenti nel processo di formulazione di stime attendibili. Valutare la tolleranza al rischio del cliente è una delle attività più importanti per tutti gli intermediari presenti sul mercato; nonostante la valutazione della tolleranza al rischio rappresenti una delle principali componenti per la formulazione di portafogli individuali, accademici e professionisti sembrano ancora lontani da una formulazione unanime di metodi di rilevazione di questa variabile. Da un punto di vista normativo è stata sottolineata la necessità di verificare la coerenza delle risposte fornite tramite la somministrazione dei questionari al fine di evitare posizioni contraddittorie. L’assenza di un metodo standard e unitamente condiviso ha condotto all’utilizzo di differenti tecniche per la misurazione della tolleranza al rischio. L’obiettivo primario risulta finalizzato a individuare un metodo rigoroso per misurare la tolleranza al rischio e superare gli errori cognitivi e condizionamenti che solitamente vengo attivati.
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