Riassunto analitico
Il presente elaborato di tesi prende in considerazione i molteplici significati attribuiti al paesaggio delle Highlands scozzesi e le diverse lenti ideologiche attraverso cui è stato rappresentato dal XVIII secolo fino ai giorni nostri. Vengono indagati vari discorsi culturali che hanno portato nel tempo alla percezione delle Highlands come un luogo fondamentale sia per la formazione dell'identità nazionale e geografica della Scozia che per lo sviluppo della coscienza eco-critica scozzese. Dall'inizio del diciottesimo secolo, le Highlands sono state luogo di tensioni irrisolte, descritte come un’area arretrata e ferma ad uno stadio anacronistico, abitata da un popolo primitivo immerso in una natura incontaminata. Tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, la regione viene rappresentata come un’area bisognosa di “miglioramento”, e diviene teatro di strategie e interventi socioeconomici mirati a colmare il divario che si pensava la separasse dal “civilizzato” sud. Contestualmente, cresce l'interesse per il pittoresco e il sublime, considerati tratti distintivi della natura scozzese all'interno dell'Impero britannico. Queste prospettive, all’apparenza in contraddizione, interagiscono nel ritrarre la desolazione del paesaggio, spopolato in parte a causa delle misure di “miglioramento,” come una caratteristica "atavica" dell’ambiente selvaggio celebrato dalla visione pittoresca. Tra la fine del XIX e il XX secolo, nelle Highlands approdano diverse ondate di turisti. I visitatori seguono percorsi sempre più standardizzati che si snodano tra siti geografici e letterari associati ad autori come James Macpherson e Walter Scott. Le contemporanee scoperte geologiche, che estendono il calendario genetico della Terra, e i rapidi cambiamenti industriali sono due elementi sottostanti alla rivalutazione del patrimonio Celtico antico e alle suggestioni di conservazione naturale di questo periodo. Correnti di pensiero precedenti e contemporanee confluiscono nella Scottish Renaissance, un movimento culturale che mette in discussione le vecchie ideologie e cerca nuove strade per rinegoziare l'identità nazionale in un mondo sempre più aperto alla dimensione globale. Vengono contestate le prospettive egemoniche e oggettivanti del paesaggio, che lo dipingevano come un’entità da estetizzare, controllare e/o migliorare. Le riflessioni culturali iniziano a collocare l'umanità non all'esterno, ma all'interno di un paesaggio stratificato, molteplice e multi specie. Enfatizzando la stretta connessione tra umanità e paesaggio, vengono indagate anche le correlazioni tra persone, luoghi di appartenenza e linguaggio. Nan Shepherd, un’autrice contemporanea, esprime alcune di queste idee avanguardistiche nella sua letteratura e visione artistica. Le attuali sfide dell'Antropocene, che richiedono di pensare a diverse scale temporali per affrontare i cambiamenti odierni e futuri su scala planetaria, trovano terreno fertile di riflessione nella relazione tra testualità e paesaggio e nel modo in cui le parole sono legate alla coscienza ambientale. Tale relazione è esplorata nella scrittura di Robert Macfarlane, la cui opera interroga profondamente l'interconnessione tra mondi umani e non-umani.
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Abstract
This thesis focuses on the representation and evolving meanings of the Scottish Highlands from the eighteenth century to the present. It explores various discourses that have shaped the significance of the Highlands landscape as a shared human and more-than-human space, contributing to both the formation of Scotland’s national and geographical identity and the awakening of an eco-critical awareness.
From the early eighteenth century, the Highlands have been a source of unresolved tensions, viewed as both a natural and anthropological curiosity. In the late eighteenth and early nineteenth centuries, the Highlands were subjected to narratives and policies of “improvement,” aimed at bridging the cultural and economic gap between the “primitive” North and the “civilized” South. Simultaneously, there was a growing interest in the picturesque and sublime, seen as distinctive traits of Scottish nature within the British Empire. These perspectives interacted, portraying the depopulated land—resulting from “improvement” measures—as an “aboriginal” characteristic of the wildscape celebrated by the pictresque view.
In the late nineteenth and twentieth centuries, the Highlands experienced waves of tourism, with visitors following increasingly standardized routes to literary topographical sites associated with James Macpherson and Walter Scott. Geological discoveries expanding the earth's timescale and rapid industrial changes also prompted a revaluation of Celtic heritage. These past discourses converged in the modernist Scottish Renaissance, which questioned old understandings and sought new ways to renegotiate national identity within an increasingly globalized world, emphasizing the close connection between land, people, and language. Hegemonic and distanced perspectives of the landscape, which viewed it merely as an “object” to be aestheticized, controlled, and/or improved, were contested. Cultural reflections began placing humanity not outside but within a multispecies and multilayered landscape. Nan Shepherd, a contemporary author, expressed some of these pioneering ideas in her literary work.
The current challenges of the Anthropocene, which require thinking on different timescales to address ongoing and future changes on a planetary scale, find a fertile ground for reflection in the textuality of the landscape and the way words are linked to environmental consciousness. This ongoing reflection is exemplified in “the new nature writing” of Robert Macfarlane, whose work delves deeply into the interconnectedness of human and non-human worlds.
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