Riassunto analitico
Il carcinoma prostatico è la più comune neoplasia solida in Europa; in Italia è la neoplasia più frequente in pazienti di età superiore a 50 anni. Lo schema di classificazione sulla base del rischio proposto da D’Amico et al. permette una stratificazione dei pazienti con neoplasia localizzata in basso, intermedio ed alto rischio. Il più recente aggiornamento delle linee guida della National Comprehensive Cancer Network per la neoplasia prostatica definisce 6 classi di rischio di recidiva utilizzando come parametri il Gleason score, lo stadio della malattia, il PSA e, nel caso della classe di rischio più bassa, l’esito della biopsia prostatica. Il trattamento del carcinoma prostatico a rischio intermedio ed alto, oggetto di questa tesi, si basa generalmente su due differenti opzioni terapeutiche: il trattamento chirurgico mediante prostatectomia radicale associato o meno a linfadenectomia pelvica o in alternativa la radioterapia a fasci esterni ad alte dosi. A partire dagli Anni ’90, l’introduzione di tecniche 3D-CRT (Three Dimensional Conformal Radiotherapy) ha consentito un incremento della dose erogata alla prostata ed un migliore controllo locale senza un aumento significativo della tossicità acuta e tardiva. Ancor più recentemente l’introduzione di tecniche di Intensity-Modulated External-Beam Radiotherapy ha permesso l’esecuzione di piani di trattamento caratterizzati da volumi maggiormente conformati con curve di isodose concave che garantiscono un maggior risparmio dei tessuti sani. Ad oggi tuttavia non vi sono studi che abbiano dimostrato differenze significative tra IMRT e 3D-CRT in termini di sopravvivenza globale o libera da malattia e recidiva locale di malattia; il trattamento IMRT al momento si è rilevato superiore solo nel ridurre gli effetti collaterali acuti sia genitourinari che rettale. Ciò fa sì che questa tecnica sia da preferirsi per la somministrazione di alte dosi o l’irradiazione delle stazioni linfonodali pelviche. Dal punto di vista radioterapico per decenni il trattamento radioterapico del carcinoma prostatico consisteva nell’erogazione di 60-64 Gy con frazionamento convenzionale ma con la diffusione delle tecniche conformazionali e dell’IMRT è stato possibile incrementare la dose erogata (“dose escalation”) ai volumi di interesse. Negli ultimissimi anni infine due nuove modalità di radioterapia esterna hanno visto un crescente interesse: la VMAT (Volumetric Arc Radiation Therapy) e la Tomotherapy. Quest’ultima è una tecnica di IGRT che utilizza un acceleratore lineare montato su un gantry ad anello che ruota attorno al paziente. Il gantry permette l’erogazione della terapia radiante e l’acquisizione di immagini similmente a quanto ottenibile con la Tomografia Computerizzata, con lo scopo di ottimizzare il posizionamento del paziente ad ogni seduta di trattamento. Un’ulteriore novità nel trattamento del carcinoma prostatico è rappresentata dall’utilizzo sempre più frequente di regimi di ipofrazionamento che si basano sull’erogazione di una singola frazione giornaliera superiore a 2 Gy (2,1-3,5 Gy), cinque giorni a settimana per circa 4 settimane. L’introduzione di questi dosaggi è giustificata dal punto di vista radiobiologico poiché è noto come la neoplasia prostatica sia caratterizzata da un basso α/β ratio (intorno a 1,5 Gy) e ciò potenzialmente determina un vantaggio terapeutico nella somministrazione di dosi più elevate per frazione con un incremento della Dose Biologica Equivalente alla prostata, senza incremento della stessa ai tessuti circostanti. Oltre a ciò la minore durata complessiva del trattamento radioterapico determina vantaggi logistici sia per il paziente che per le strutture sanitarie determinando potenzialmente una migliore aderenza al trattamento.
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