Riassunto analitico
La sindrome metabolica (MetS) si definisce come un insieme di alterazioni metaboliche in relazione causale tra loro, che predispongono ad un aumentato rischio di sviluppare diabete mellito di tipo II (DM2) e patologie cardiovascolari (CVD). Si tratta di un’entità nosologica ancora molto dibattuta, sia per quanto riguarda i criteri diagnostici e la patogenesi, sia per ciò che concerne il reale significato prognostico della sindrome. La prevalenza della MetS varia nelle diverse zone del mondo rispecchiando in parte la diversità dei criteri diagnostici applicati, in parte le differenze etniche e demografiche delle popolazioni studiate; infatti è più alta nei paesi industrializzati, dove va di pari passo con la prevalenza dell’obesità e con l’aumento dell’età media. La differenza di sesso nella distribuzione dei sottotipi risulta in gran parte abolita negli anziani (> 65 anni), si crede, per il venir meno dopo la menopausa delle differenze ormonali alla base peraltro delle peculiarità clinico-epidemiologiche della popolazione femminile. La cessazione dell’attività gonadica comporta nella donna la comparsa di un nuovo pattern fisiologico assimilabile a quello presente nella sindrome metabolica, che funge da “corollario” alle modificazioni dirette indotte dalla carenza estrogenica sull’apparato cardiovascolare e che contribuiscono all’aumento del rischio CV in post-menopausa. Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di mortalità e morbilità nella popolazione femminile; se è vero infatti che le donne vivono molto più degli uomini (in media circa 5 anni in più) è anche vero che si ammalano di più e vanno incontro più frequentemente a disabilità, tanto che un terzo della vita della donna è vissuto in condizioni di non autosufficienza, rispetto ad un quarto della vita degli uomini. La donna presenta quindi specificità cardiovascolari non solo sesso dipendenti, ma anche età dipendenti: l’incidenza di patologie cardiovascolari è inferiore rispetto all’uomo durante l’età fertile, ma va ad eguagliare l’uomo con la menopausa, fino a superarlo dopo i 75 anni, questo in virtù delle modifiche endocrino-metaboliche dovute alla perdita dell’”ombrello ormonale”; a questo si sommano inequivocabilmente i fattori di rischio compresi nella MetS, la cui incidenza aumenta moltissimo con l’età. A tutt’oggi vi sono informazioni limitate sulle differenze di genere delle caratteristiche della sindrome metabolica e dei suoi componenti per quanto riguarda la popolazione anziana, il nostro studio si inserisce in questo contesto. Nello studio sono stati inclusi 1382 pazienti consecutivamente afferenti all’ambulatorio di Cardiogeriatria del Nuovo ospedale sant’Agostino Estense a Baggiovara; la definizione di Sindrome Metabolica utilizzata è stata quella del 2009 (“Harmonized Definition”). Ci si è posti l’obiettivo di analizzare l’impatto della MetS sulla popolazione geriatrica e di comprendere quali siano le principali differenze di genere ivi riscontrabili, sia per quanto riguarda l’incidenza delle varie componenti della sindrome, sia per l’impatto che la MetS ha sul rischio di sviluppare diabete mellito e patologie cardiovascolari. L’analisi multivariata dei dati ci permetterà poi di fornire indicazioni interessanti nell’ambito dell’approccio preventivo non farmacologico e della terapia farmacologica. È noto infatti come nella popolazione anziana l’uso di farmaci ipolipemizzanti sia controverso e i target glicemici che giustificano il trattamento ipoglicemizzante siano diversi in tale popolazione.
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