Riassunto analitico
Il licenziamento è l'atto che determina lo scioglimento del vincolo contrattuale. Entrambe le parti possono recedere dal contratto di lavoro, quindi la categoria giuridica di riferimento è il recesso. “Il recesso costituisce, ai sensi dell'articolo 1324 c.c., un atto o negozio unilaterale - in quanto espressione della volontà di una sola delle parti del contratto - e recettizio - in quanto diretto a produrre effetti nella sfera giuridica dell'altra. L'ordinamento affida a ciascun contraente il potere di determinare la durata del rapporto di lavoro, riconoscendo la facoltà di recedere dal contratto con preavviso anche contro la volontà dell'altra parte. Nel contratto di lavoro infatti occorre distinguere il recesso del lavoratore definito con il termine di “dimissioni”, dal recesso del datore di lavoro/imprenditore dove si si parla di “licenziamento”. Secondo quanto stabiliva il Codice Civile “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi, o secondo equità ”; Le parti erano quindi libere di recedere in qualsiasi momento senza dare giustificazioni o ragioni particolari: l’’unico onere a cui entrambe erano soggette era quello del preavviso. Successivamente il Diritto del Lavoro ha deciso di tutelare il lavoratore come contraente debole, e ha fissato dei limiti formali e sostanziali al recesso da parte del datore di lavoro. Con la legge 604 del 1966 ha quindi stabilito che il recesso può avvenire unicamente in presenza di Giusta Causa o Giustificato Motivo Oggettivo o Soggettivo. Dopo la legge n. 604, è intervenuto l'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (meglio noto come Statuto dei Lavoratori) Il suo campo di applicazione è, però, limitato alle unità produttive che occupano più di quindici dipendenti, escludendo così le piccole imprese. L'esigenza di tutela contro il licenziamento ingiustificato nei confronti dei lavoratori occupati nelle piccole imprese ha portato all'emanazione della Legge 11 maggio 1990, n. 108, la quale ha sancito esplicitamente il generale principio della giustificazione del licenziamento che vale nei confronti di tutti i lavoratori. Con la Legge 28 giugno 2012, n. 92, recante “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” è stata prevista una rimodulazione della flessibilità in uscita, adeguando la disciplina del licenziamento individuale per alcuni specifici motivi oggettivi, alle esigenze dettate dal mutato contesto di riferimento. In conclusione, la giusta causa e il giustificato motivo costituiscono il presupposto causale del licenziamento. A partire da Marzo 2015 ha iniziato a produrre i suoi effetti la legge sul “Jobs Act”, una legge voluta con tutte le forze dal premier Renzi e dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Con la sua attuazione sono stati promossi i contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti, contratti sicuramente più vantaggiosi in termini di oneri diretti ed indiretti. Per i nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti, il reintegro è previsto solo nel caso di licenziamento discriminatorio e disciplinare se dimostrato che il fatto non sussiste. Nel caso di licenziamento disciplinare motivato o di licenziamento per motivi economici il reintegro viene sostituito dal solo indennizzo in denaro, che sarà crescente con l'anzianità del dipendente nell'azienda.
|