Riassunto analitico
Nelle pagine del presente lavoro si è inteso condurre un’indagine sulla figura di reato della bancarotta (in particolare, preferenziale), l’analisi dei cui profili ha portato, nel corso degli anni, a conflitti dottrinali ad oggi non ancora sopiti. In particolare, si è qui voluto affrontare la problematica questione della determinazione dei confini oggettivi della fattispecie, volendo in questo senso tentare di dare una risposta soddisfacente alla diffusamente rilevata necessità di ricondurne la disciplina al rispetto dei principi cardine del diritto penale, proponendone una sostanziale “rilettura” alla luce degli studi condotti dalla dottrina sul tema del rischio consentito. In seno ad un’analisi dei generali profili penali del rischio (cap. I), svolta riservando particolare attenzione al rapporto fra rischio e reati dolosi, un ruolo centrale sarà affidato alla tesi dogmatica dell’erlaubtes Risiko di modo tale da chiarire come una condotta, astrattamente tipica, possa, sin dal momento della sua realizzazione, dirsi lecita. A tal proposito, ci si prefiggerà dunque di estendere ai reati fallimentari l’assunto secondo il quale una condotta non assume rilevanza penale qualora abbia dato vita ad un rischio giuridicamente irrilevante, proponendo il binomio rischio lecito-rischio consentito, ossia distinguendo quell’area di rischio adeguato (cap. III) perché conforme ai principi di offensività, antigiuridicità, colpevolezza e personalità della responsabilità penale, dall’area di rischio specificamente autorizzato dal legislatore (cap. V). Si valuterà inoltre, mutuando dai sostenitori della teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento la tesi della “realizzazione del rischio”, come la condotta, una volta attivato un rischio illecito, debba altresì, per colorarsi di tipicità, aver cagionato un risultato che sia la congrua realizzazione di tale rischio, per fugare il pericolo di imputare all’agente eventi estranei alla sua sfera di competenza. Nel ridisegnare il perimetro dell’area di rischio lecito d’impresa, ci si propone, oltre a dare conto della posizione assunta dalla più recente giurisprudenza, di individuare i criteri di rilevanza offensiva dei fatti di bancarotta i quali, ragionevolmente, dovranno ex ante apparire idonei a relazionarsi al pericolo di insolvenza, senza con ciò esigere l’accertamento di un nesso di causalità, il che andrebbe contro la lettera della norma, ma richiedendo che tali fatti siano ricollegati al dissesto da un nesso di rischio. L’esigenza di una siffatta ricostruzione appare poi di fondamentale importanza al fine di porre le basi di una seria regolamentazione della c.d. zona del crepuscolo della vita d’impresa, ovvero quella situazione di crisi o pre-crisi finanziaria e patrimoniale “sospesa a mezz’aria” fra rischio di insolvenza e possibilità di risanamento. Al fine di evitare un’anticipazione incontrollata dell’area di intervento penale e, dunque, un regressus ad infinitum nell’incriminazione delle condotte di gestione dell’impresa, in particolare ove, nel tentativo di risollevarne le sorti, si sia ricorso ad una procedura di composizione negoziale della crisi (cap. V), si intenderà evidenziare la necessità di accertare l’oggettiva rischiosità delle condotte stesse alla luce della specifica situazione di crisi esistente al momento della condotta.
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