Riassunto analitico
Benché abbia ampiamente impegnato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale degli ultimi anni, la condizione di inadempimento non è un puro dato normativo. È noto, in particolare, che non è stata recepita all’interno del Codice civile del 1942 quella “condizione risolutiva tacita”, prevista invece in quello del 1865, che permetteva, nel caso di inadempimento, di far cessare gli effetti del contratto semplicemente attraverso la dichiarazione della parte lesa di volersene avvalere. Si legge, infatti, nei lavori preparatori dell’attuale Codice, che erroneamente era stata ricondotta all’ambito della “condizione propria”, quella che in realtà era una “sanzione”. Per questo motivo, nel Codice civile, è prevista tra i rimedi la risoluzione per inadempimento e la susseguente clausola risolutiva espressa. Entrambi i rimedi rispondono ad una logica di “non automaticità”: nel primo caso si è di fronte ad un rimedio giudiziale, nel secondo, invece, la clausola opera attraverso la dichiarazione del contraente fedele di volersene avvalere. In tale quadro il duplice obiettivo dell’indagine è stato quello di vagliare la legittimità della condizione di inadempimento e la sua effettiva utilità pratica. L’analisi, pertanto, è stata svolta su più piani. Nel primo capitolo è stata impostata un’indagine generica sulla condizione e sulla sua disciplina. Nel secondo invece sono stati analizzati i rapporti tra la condizione sospensiva di adempimento e quella risolutiva di inadempimento, studiandole quali atti d’autonomia e alla luce del principio di buona fede. Si è poi proseguito, nel terzo capitolo, indagando gli ostacoli concettuali alla deducibilità dell’adempimento (o inadempimento) in condizione, mettendo in particolare in luce l’aspetto secondo cui l’adempimento, considerato da parte della dottrina come elemento funzionale del sinallagma, manchi del requisito dell’incertezza, e come fosse possibile dedurlo in condizione, che è per antonomasia un elemento accidentale. Nel quarto capitolo, è stata considerata l’estrinsecità degli interessi, concentrandosi sulle posizioni dottrinali di Falzea e di Amadio, che hanno indotto ad una analisi della dinamica degli interessi, deducendo la multifunzionalità del congegno e la “corrispettività condizionale”. In ultima istanza, sono stati analizzati gli ostacoli di tipo operativo. Ci si è domandato perché fosse utile il ricorso alla condizione, quando l’ordinamento abbia già predisposto i rimedi tipici, svolgendolo su diversi piani: quello della incompatibilità tra evento condizionante e realizzazione del contratto, attraverso l’obiezione del presunto difetto funzionale della causa e quello della pretesa esclusività dei rimedi risolutori; quello dell’automaticità dell’effetto risolutivo della condizione; dell’inopponibilità, ai terzi aventi diritto, della risoluzione ordinaria; in ultimo, quello della retroattività degli effetti della condizione e conseguentemente della risarcibilità del danno. I risultati dell’indagine si sono indirizzati nel senso di confermare la posizione espressa da Amadio e dalla più recente giurisprudenza circa la legittimità del congegno condizionale. È stata palesata, nel dettaglio, l’utilità pratica, rispetto alla risoluzione per inadempimento, che si rinviene anche nella velocità di procedimento, automaticità del rimedio, assenza di costi e tutela restitutoria.
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