Riassunto analitico
La presente trattazione, si propone di analizzare l’analogia, intesa in primo luogo come base inferenziale ed in seconda istanza quale adminiculum ermeneutico. L’iter argomentativo prende le mosse dal saggio di Enzo Melandri al fine di indagare i rapporti tra logica ed analogia, nonché la struttura stessa del ragionamento analogico. Dissertare di analogia, significa, una volta posta l’inferenza nel diritto, carpirne le multiple e recondite implicazioni ai fini del principio di legalità. Il giudizio di compatibilità tra l’analogia e l’art. 25 Cost. non può prescindere dall’inclusione o per converso dall’esclusione dell’analogia dall’ars ermeneutica; palesemente un’esclusione relegherebbe l’analogia nella poiesi, rendendola, in ordine al diritto penale, incompatibile con il monopolio del legislatore. La prima parte dell’elaborato, si conclude, con un’analisi della riforma del §2 Stgb tedesco, seguendo le valutazioni di Giuliano Vassalli, si tenta mediante uno sguardo al passato di rilevare prospetticamente le possibili conseguenze di una libero ricorso all’analogia. Così, spalancare i cancelli del diritto penale all’analogia significherebbe assicurare un arbitrio pressoché illimitato agli organi giudicanti, data la doppiezza del rapporto di simiglianza e la vaghezza della ratio legis, ambedue termini aperti a molteplici intendimenti. Posta l’analogia nella creazione del diritto, ritenutala di qui confliggente con il principio di riserva di legge e tassatività-determinatezza, concepita altresì quale ragionamento incerto né garante dell’uguaglianza, pare doversi auspicare, non un travalicamento del divieto ex art. 14 prel., bensì un suo rafforzamento. La seconda parte dell’opera, è rivolta all’analisi di alcuni casi giurisprudenziali, più propriamente di alcune fattispecie del codice penale, che, a causa della discutibile tecnica legislativa e dell’altrettanto discussa prassi giudiziale, sono state oggetto di sentenze, non sempre scaturigine di una legittima ermeneutica. Citando il caso della turbata libertà degli incanti (353 c.p.), la norma sanziona la turbativa commessa nel corso di licitazioni private ed incanti, termini specifici, atti ad indicare peculiari modalità di scelta del contraente da parte della P.A.; ebbene in plurime decisioni recenti, la giurisprudenza, anche di Cassazione, ha esteso l’applicabilità della fattispecie, colà dove alcuna di queste due procedure era in corso. L’estendere la normativa vigente dal caso regolamentato, licitazione privata, a quello penalmente irrilevante, trattativa privata, ragionando sulla base di una mera similitudo, o peior, mossi da esigenze giustizialiste, significa esorbitare il testo di legge compiendo ciò che facilmente può definirsi analogia in malam partem. L’elemento decisivo, nel tentativo di scorgere l’analogia risiede, esattamente, nella tendenza di questa a trascendere il testo; ancor più sintomatico poi, è l’asserire che si tratti di interpretazione estensiva al fine di legittimare l’extensio. La scelta di collocare l’analogia fuori dal diritto penale, l’ostracizzarla e camuffarla con stracci e campanello, in guisa di lebbroso medievale, ha una ratio ben precisa, assicurare la certezza del diritto, limitare un arbitrio giudiziale altrimenti incontrollabile, regolare il divenire della normativa, affinché questo sia razionale e non consecutio di pulsioni sociali. Allo stesso modo, si aggiunga, è necessario affinare notevolmente i sensi per smascherare apparenti interpretazioni estensive, l’analogia per quanto travisata o negata, ad ogni passo provoca un tintinnio, così, si affini l’udito e si prepari l’όστραχoν, affinché l’esilio non sia pari ad una decade, bensì, imperituro.
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