Riassunto analitico
Il problema dell’occupazione – o meglio, della disoccupazione – giovanile, ha sempre rappresentato uno delle questioni principali del nostro Paese, specialmente in alcune zone come il Mezzogiorno. Di fronte a questi problemi endemici, la risposta dello Stato italiano è stata spesso affidata al contratto di apprendistato, strumento – almeno sul piano teorico – in grado di coniugare formazione e lavoro, definito più volte, con formule variabili ma costanti, come il principale canale di ingresso nel mondo del lavoro per un giovane. La volontà di risolvere in questa maniera il problema cronica della disoccupazione giovanile italiana ha tuttavia portato con sé un “vizio genetico” per l’apprendistato persistente ancora oggi, con la finalità occupazionale che ha spesso e volentieri finito per eclissare quella formativa, conducendo a un uso distorto di questa tipologia contrattuale. Nell’ambito delle relazioni industriali, l’apprendistato è stato spesso oggetto di duri scontri tra i sindacati e la rappresentanza datoriale, risultando per questi motivi uno degli aspetti più interessanti da indagare per comprendere i dettagli dell’evoluzione attraversata dalle Parti sociali in Italia nel Novecento fino ad arrivare ai giorni nostri. Lo scopo di questa trattazione è quindi quello di mostrare qual è stato il percorso che ha caratterizzato questo istituto sia a livello legislativo che contrattuale, nello specifico nel settore metalmeccanico. La scelta di questo particolare segmento del mercato del lavoro è dovuta al ruolo che la contrattazione collettiva ha sempre rappresentato per i lavoratori metalmeccanici, con modalità anche aspre in determinati periodi storici – basti pensare agli anni Settanta – elemento che inevitabilmente ha avuto dei riflessi anche nei testi contrattuali di quegli anni. Analizzando il percorso di determinati aspetti contrattuali, come ad esempio la retribuzione e la durata del periodo di apprendistato, è possibile trarre conclusioni e osservazioni sulla fase che l’istituto stava attraversando in quel determinato periodo storico. Ne risulta che la lettura e la comparazione di quella che è stata l’interpretazione delle Parti sociali del fenomeno possono fornire informazioni interessanti per capire il contesto del passato e potenziali spunti per provare ad immaginare il futuro delle relazioni industriali in questo campo. Inoltre, l’attenzione dedicata all’apprendistato dalle Parti sociali metalmeccaniche – diretto riflesso dell’importanza dello stesso per il settore – è segnalata dalla presenza di una regolamentazione apposita già dall’epoca delle corporazioni fasciste, tradizione proseguita coerentemente nell’Italia repubblicana in seguito alla disciplina del 1955 recepita dall’industria nel 1960. Questo elemento non è da sottovalutare: basti pensare che negli anni Settanta nonostante l’ampia diffusione in termini numerici dell’apprendistato, soltanto poco più di un terzo dei contratti collettivi lo disciplinava , motivo per il quale è proprio attraverso l’analisi e la mappatura di questo settore che si può avere una rappresentazione fedele di quella che è stata l’evoluzione dell’istituto. La presente analisi si sviluppa quindi partendo innanzitutto dall’esame della componente legislativa dell’apprendistato, nel primo capitolo e nel secondo capitolo, elemento che fornisce lo spazio di manovra entro il quale la contrattazione collettiva è poi andata ad agire. Attraverso la mappatura di oltre settanta accordi e contratti collettivi, quindi, si cercherà poi di delineare l’evoluzione dell’istituto in questo settore, cercando di capire in questo modo quali possono essere gli spazi di manovra e le opportunità per la contrattazione collettiva, ad esempio con riferimento all’introduzione di innovazione nei contesti produttivi.
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